giovedì 21 febbraio 2013

Settimo racconto della serie Zombie e incubi: Un'ultima volta



Un'ultima volta


«Allora, sei ancora arrabbiato con me? Dai, lo sai che scherzavo con Matteo...io amo solo te!» protestò Francesca con una smorfia che nei suoi piani sarebbe dovuta risultare simpatica.
Si trattava della mia ragazza, Francesca per l'appunto, 19 anni da poco compiuti, lunghi capelli neri, un fisico da modella maggiorata racchiuso in metro e 65 di altezza e una testa matta, come le ricordavo sempre, perfetta per farmi impazzire. Per tutta la serata non aveva fatto altro che provocare, con battutine allusive, frasi equivoche e movimenti un po' azzardati per una ragazza con la quarta di seno, tutti gli amici con cui eravamo usciti al pub, inclusi quelli fidanzati e alla presenza delle stesse ragazze con cui erano felicemente impegnati. Questo, però, lo faceva sempre: quello che mi aveva fatto incazzare era stato il suo atteggiamento con Matteo, uno dei miei più cari amici, un ragazzo d'oro con il solo difetto di essere molto, molto introverso con le rappresentanti del gentil sesso.
Durante la serata Francesca era stata, disgaziatamente, seduta proprio accanto a Matteo, dando fondo a tutto il suo repertorio: si era accidentalmente sporcata più volte con la birra mentre beveva chiedendogli sempre un fazzolettino per pulirsi (era piena estate e indossava solo una canotta sopra il reggiseno, così che puntare lo sguardo da quelle parti significava vedere un po' ogni cosa), gli aveva chiesto se era sporca di maionese sulle labbra dopo aver mangiato con lentezza esasperante le sue crocchette di patate, e tante, tante altre piccole cose, che messe insieme formavano un insieme voluttuoso e, a dir poco, antipatico. Ovviamente non avrebbe agito in questo modo se Matteo non le avesse dato le "giuste soddisfazioni", e il mio amico era arrossito, aveva balbettato e sudato tutto il tempo, fornendole tutto il divertimento che stava cercando: era una provocatrice nata, e sentirsi desiderata e capace di sconvolgere i pensieri di un uomo la esaltava tremendamente, così come l'invidia delle altre ragazze per le sue forme perfette e per il magnetismo che esercitava sugli altri ragazzi.
Certo, con questa descrizione sarebbe facile affermare, piuttosto, che la mia Francesca fosse un po' troia, e di come per lei le altre ragazze non provassero tanto invidia, quanto odio, antipatia, fastidio: in poche parole, per loro, sapere che anche lei era della serata rappresentava già un motivo più che sufficiente per essere incazzate.
Ma la mia ragazza non era una troia; non nel pieno senso del termine, almeno.
Ci eravamo messi insieme 8 mesi prima, una sera d'Ottobre, dopo esserci conosciuti alla festa di compleanno di un amico comune, durante la quale lei mi aveva colpito enormemente, per bellezza ed esuberanza. Nonostante le apparenze Francesca sfuggiva agilmente le avànces dei vari ragazzi che avvicinava, tutto per lei era un grande gioco, con le sue regole, e inoltre praticamente non aveva amiche, dato che tutte sembravano troppo impegnate a detestarla: a dispetto del suo frizzante modo di porsi, si trattava, all'epoca, di una ragazza molto sola. Io avevo diffidato di lei, all'inizio, fidandomi della prima percezione che mi aveva trasmesso: una ragazza facile e sfrontata, una collezionista di uomini. Forse proprio per questa freddezza mostrata nei suoi confronti, Francesca quella sera aveva fatto di tutto per attirare la mia attenzione, ma aveva sempre fallito e dunque, infine arresasi, aveva deciso di lasciare perdere, concedendosi una sigaretta in un angolo del giardino, in piena notte, sola e al gelo. Fu solo in quel momento che la notai davvero, rimanendo colpito da quella figura solitaria, e mi decisi a raggiungerla, offrendole il mio cappotto, dopo di che conversammo fin quasi al mattino, e scoprii quanto fosse simpatica, singolare, persino profonda, quando gli andava, e che fosse bellissima era del tutto evidente. Me ne innamorai, non potei evitarlo in alcun modo.
Pochi giorni dopo ci mettemmo insieme, e qualche settimana dopo ci fidanzammo: non con uno stupido cambiamento di stato su facebook, ma con il regalo di un anello che per me significava prendere molto seriamente la cosa: da quel momento lei era la mia fidanzata, e l'avrei accettata in tutte le sue sfaccettature, che erano davvero molteplici, come quella di dovere per forza mettersi in mostra, si diceva. La tendenza ad apparire un po' troia, insomma.
Parlai a lungo con Francesca di questa sua peculiarità, cercai di capire se era possibile per lei attenuarla, controllarla, abbandonarla, confinarla alla nostra intimità, ma non ci fu verso: faceva indissolubilmente parte del suo essere, provocare gli uomini e suscitare un invidia celata nell'odio e nell'antipatia nelle donne le donavano una soddisfazione unica e insostituibile. Potevo solo accettarla, cercando di farle notare quando stava superando il limite della decenza o quello della tollerabilità, altro non potevo fare.
E quella sera il limite l'aveva superato, eccome.
«Ti amo anch'io...» le risposi, volgendo per un momento lo sguardo su di lei anzichè sulla strada, scontrandomi quindi con i suoi occhi color nocciola «ma preferirei lasciassi stare i miei amici, specialmente Matteo...non hai visto quanto lo hai messo in imbarazzo?»
«Oh...dici?» chiese lei, con un sorrisino sulle labbra.
Lo aveva notato, eccome, anche un cieco se ne sarebbe accorto, ed era proprio quello il problema: aveva insistito tanto con le sue provocazioni proprio in seguito alle reazioni imbarazzate del mio amico.
«Mi prometti che non lo farai più? Che la prossima volta che usciremo con gli altri lo lascerai perdere? E non parlare troppo nemmeno con Stefano, già che ci siamo, altrimenti una volta o l'altra la sua ragazza finirà per castrarlo, gli lanciava certe occhiate maligne stasera, non appena scambiava qualche parola con te...» le feci notare, ricordando lo sguardo assassino di Eleonora mentre Stefano notava e traduceva la scritta in inglese sulla canotta di Francesca.
«Non gli ho chiesto io di leggere dalle mie tette come se fossero le pagine di un quotidiano! Ahahah, ha fatto tutto lui, se la Ele stasera gli strizza le palle sarà stata solo colpa sua!» protestò Francesca, questa volta a ragione, anche se non era facile, per un uomo, non far cadere lo sguardo da quelle parti, con certi vestiti poi...
«Ok, ok...colpa sua, salvata in corner...ma mi prometti che farai la brava?» le chiesi, dando per scontato che nulla sarebbe comunque cambiato.
«Ma lo sai che io sono sempre brava...no?» chiese cambiando leggermente tonalità della voce, ora più suadente e libertina, come l'allusività della frase.
Le bastava così poco per provocarmi. I primi mesi con lei erano stati allo stesso tempo l'Inferno e il Paradiso, e naturalmente era Francesca a fare il bello e il cattivo tempo: ero in sua balia, e non riuscivo in nessun modo a oppormi ai suoi capricci. Giochi di ruolo, intimo sexy, piccole scommesse e un'incredibile metrosessualità erano state le sue armi per farmi sopportare quell'eccessiva esuberanza del carattere, pur contenuta in una fedeltà assoluta: lei non mi avrebbe mai tradito, ed ero pienamente convinto che se mai ne avesse provato l'impulso mi avrebbe piuttosto chiesto di fare un gioco a tre. Con lei avevo scoperto un mondo eccitante ma controllato, e fino al momento in cui sarei stato in grado di gestire la cosa entro i limiti di una mia moralità, sarei stato alla grande, e avrei continuato a suscitare l'invidia dei miei amici: non male.
«Mi stai chiedendo se sei una brava ragazza?» le chiesi a mia volta «No, direi di no...non lo sei...»
«E cosa posso fare per esserlo?» domandò lei con una voce molto, troppo provocante, passandosi nel frattempo una mano tra i capelli.
«Beh...potresti...» iniziai a dire, o meglio a balbettare qualcosa, non appena la sua mano passò dai capelli al seno, fino alle gambe nude e abbronzate, strette nella sua corta minigonna di jeans, distraendomi terribilmente dalla guida.
«Che ne diresti di svoltare a destra tra un chilometro? Così pi potrai spiegarmi meglio come posso fare...» disse lei, continuando a passare le mani sulle sue gambe, ipnotizzandomi.
Per qualche secondo il mio cervello fu attraversato da una linea piatta, come se ogni mio possibile pensiero fosse inibito e ogni mio flusso sanguigno pompasse sangue verso un unico punto, tanto lontano dalla mia scatola cranica. L'inevitabile debolezza dell'uomo era in quel momento in me manifesta. Poi, però, mi resi conto, in un istante, che Francesca voleva fregarmi. Era ormai da qualche mese che mi aveva espresso il desiderio di appartarci in macchina, ma io avevo sempre rifiutato: non ne vedevo il motivo dato che, abitando da solo, potevamo passare in intimità tutto il tempo che volevamo, senza dover renderne conto a nessuno, e inoltre avevo sentito troppe volte, al telegiornale, di brutte esperienze capitate a delle coppiette appartatesi in auto. Maniaci, guardoni, gruppi di extracomunitari capaci di stuprare lei e riempire di botte lui, ronde della polizia: non mi ero mai appartato in auto con nessuna proprio per questi motivi. Lo consideravo pericoloso. Purtroppo, però, nemmeno Francesca si era mai appartata in auto con qualcuno, e lei considerava l'esperienza come potenzialmente molto eccitante, una delle tante cose da sperimentare e spuntare. Non che non ne fossi felice: la sua lista delle cose zozze da fare con me era piena di spunti considerevoli, ma a questo mi ero fermamente opposto, e il mio era un no secco, senza repliche. Ma con Francesca era tremendamente complesso avere l'ultima parola in merito a qualcosa, e lei partiva sempre in vantaggio.
«Tra un quarto d'ora saremo a casa...» esordii allora « e avrai sicuramente la tua chance per dimostrarmi che sei la brava ragazza che dici di essere...»
«Eh no...per stanotte l'offerta é valida solo se accettata entro 10 minuti...» disse lei «altrimenti decade. Completamente.»
Mi minacciava di farmi andare in bianco: un classico. E avrei anche potuto resistere, non era un problema, o almeno non lo era fino a che non iniziò a dirmi una serie di oscenità che preferirò non ripetere, ma che, unite alla temperatura insopportabile del mio corpo, risultarono estremamente efficaci: vinse lei.
Poche centinaia di metri dopo svoltai a destra, imboccai una strada secondaria e quindi sbucai nel parcheggio di una ferramenta noto per le frequentazioni notturne: a ogni angolo era parcheggiata un'auto, mentre altre 2 sostavano nel centro e contenevano probabilmente degli esibizionisti o degli amanti dello scambio di coppia. Di fronte a quell'affollamento per un momento riapparve la ragione e fui sul punto di dire a Francesca che non se ne faceva nulla e che una notte da single non mi avrebbe certo rovinato la vita, ma poi un'audi grigia parcheggiata nell'angolo più lontano mise in moto, innestò la retro e uscì dal parcheggio, liberando un posto, quello più lontano dagli sguardi indiscreti. Non avevo più possibilità di oppormi: non potei fare altro che raggiungere il parcheggio appena liberatosi.
Francesca sembrò apprezzare molto questa mia decisione: non appena spensi il motore si tolse la cintura, infilò le mani sotto la mia camicia e iniziò a baciarmi con un entusiasmo che mi lasciò sbigottito, senza fiato. La lasciai fare mentre si inerpicava sul mio sedile abbassandone lo schienale, e rimasi ancora immobile quando, sfilatasi la canotta, cercò giocosamente di soffocarmi con il suo seno: era eccitatissima, e in fondo pensai che non fosse stata poi una cattiva decisione l'averle dato retta, così finalmente mi riscossi da quello stato di immobilità e la strinsi fortemente a me, ricambiando in parte la sua foga.
Passarono così alcuni minuti molto intensi, ed estremamente piacevoli. Francesca mi stava trasportando in un'altra dimensione, così che dimenticai di trovarmi in quel contesto, disteso sul sedile della mia auto nel parcheggio di una ferramenta, contorniato da altre auto cariche di altre persone che stavano facendo sesso: pensavo solo a lei, e alle sensazioni che mi stava trasmettendo con il calore del suo corpo, mentre non smetteva di baciarmi.
Un rimore improvviso, come di una lattina vuota scalciata, mi riportò alla realtà. Anche se sdraiato, con la coda dell'occhio riuscii a distinguere una figura al di là della fila di cespugli che recintava il parcheggio: una sagoma maschile. Preoccupato per la presenza di un possibile malintenzionato, o comunque di un curioso non richiesto e non gradito, immediatamente mi bloccai, cercando di scostare Francesca e ricompormi, ma mi fu impossibile.
«Cos'hai da agitarti tanto? Qualcosa non va?» chiese lei, evidentemente non accortasi del rumore.
«Credo ci sia qualcuno là fuori, lasciami rialzare, voglio controllare.» le risposi, imponendomi di stare calmo anche se in realtà ero un po' in apprensione.
«Dai sarà soltanto qualche guardone, ci sono anche altre coppie qui, stai tranquillo...» mi disse, baciandomi il collo e cercando di continuare quello che avevamo iniziato.
Come temevo la situazione di essere spiata da qualcuno la stava eccitando anche oltre la possibilità teorica che ciò potesse avvenire, e questo non mi piaceva per niente, ma, anzi, mi spaventava.
«No Francesca, aspetta, non possiamo farlo, e se quello...» provai a protestare, ma lei fu lestissima a infilarmi la lingua in bocca, schiacciando il suo seno contro il mio petto e zittendo sul nascere ogni mia protesta.
Chiusi gli occhi solo per un istante, però, lasciando che almeno una piccola percentuale della mia razionalità sfuggisse all sensualità di Francesca, e non appena li riaprii vidi quella sagoma scura avvicinarsi, sprezzante, audace. Troppo audace.
Con notevole sforzo mi staccai dalla voluttuosa morsa di Francesca, afferrai il volante per tirarmi sù da quella posizione di impotenza e mi preparai a digrignare i denti come un cane per scacciare quella presenza molesta, a prescindere dai desideri peccaminosi di Francesca, ma mi bloccai non appena riuscii a distinguere in volto quella sagoma: un volto che sostanzialmente non c'era.
Si trattava di un uomo robusto, adulto e vestito elegantemente, che avanzava con passo ciondolante e occhi iniettati di sangue, il volto formato da una maschera sanguinolenta, come se qualcuno gli avesse letteralmente mangiato la faccia: anche se non poteva essere vero, quell'uomo era esattamente come io mi immaginavo potesse essere uno zombie.
Provai a urlare ma il grido mi morì in gola mentre quell'essere si abbatteva a peso morto sulla carrozzeria dell'auto, facendola vibrare. Francesca si rigirò in un attimo e lei si, urlò, tanto forte da stordirmi un timpano, mentre con terrore osservava lo zombie portarsi all'altezza del parabrezza tempestandolo di terribili colpi, emettendo brontolii raggelanti.
Tutto avvenne in una frazione di tempo, troppo velocemente perchè potessimo assimilare il fatto che uno zombie stava cercando di sfondare il parabrezza e mangiarci vivi, eppure era così, ed entrambi non eravamo tanto storditi da pensare a un ubriaco o a un malato: nel 2013 era impossibile non aver mai visto un film con degli zombie per non riconoscerne uno, e quello era proprio un fottutissimo zombie.
«Metti in moto! Metti in moto cazzo!!» urlò Francesca balzando sul sedile passeggeri, e io obbedii subito, senza pensarci 2 volte, prima che quell'essere potesse sfondare il vetro: i suoi colpi erano potentissimi.
Introdussi la retro e pestai il piede sull'accelleratore, liberandomi del mostro, quindi innestai la prima e schizzai via a tutta velocità, o almeno queste erano le intenzioni: rallentai, in realtà, nell'attimo in cui mi affiancai alle 2 auto ferme al centro del parcheggio, desiderando avvertire le persone li dentro del pericolo, in un attimo di lucidità e premura verso il prossimo che solitamente non mi appartenevano affatto. Ma ciò che vidi, all'interno di quelle auto, mi sconvolse: 2 uomini stavano chini su una donna, distesa sul sedile posteriore, divorandola, in un mare di sangue e viscere; uno di loro alzò la testa al nostro passaggio: era il volto stesso dell'Inferno.
Guidai come un pazzo, senza meta, senza rispettare alcun limite, scosso e sconvolto, mentre Francesca non riusciva nemmeno a proferire parola. E pensavo. Un mare di pensieri si sovrapponevano nella mia mente: possibile che fosse in corso uno zombie outbreak? Non doveva essere soltanto qualcosa di impossibile, buono soltanto per mettere insieme un gruppo di appassionati a parlarne davanti a una birra o su un forum? Non poteva esistere, nel modo reale, anche solo una possibilità su un miliardo che questo potesse avvenire, eppure...
Mi resi conto, improvvisamente, di come nell'impeto della fuga non stessi puntando verso casa, bensì tornando nella direzione da cui provenivo: il pub nel quale avevo trascorso la serata con gli amici. E se ne rese conto anche Francesca.
«Dove cazzo stai andando? Al pub?!» mi urlò contro.
«Non so neanche io dove sto andando...quelli erano zombie, te ne rendi conto? Zombie!! Non lo so...vediamo se gli altri sono ancora al pub, avvertiamoli e poi andiamo via tutti insieme, ok?» le risposi io, mettendo insieme quei pensieri a caso che mi ronzavano nella mente.
«Ok...Ma facciamo alla svelta.» rispose lei, con la paura sul volto.
Dopo qualche minuto arrivai al parcheggio del pub, ancora pieno di auto esattamente come lo avevo lasciato. Scendemmo entrambi dell'auto, talmente scossi che solo in quel franfente ci accorgemmo di non esserci mai ricomposti: io avevo la camicia aperta, mentre Francesca non aveva ancora rimesso la canotta, anche se a entrambi non importava affatto. Ci dirigemmo a passo sostenuto in direzione dell'entrata, non riuscendo nemmeno a immaginare quello che avremmo trovato al suo interno: come nel peggiore degli incubi, la saletta interna del nostro locale preferito si era trasformata nel degno scenario di un set dell'orrore, tra urla disumane, pareti schizzate di sangue e zombie antropofagi occupati a consumare lauti banchetti con i corpi dei nostri amici più cari.
Tra i tanti, troppi fermi immagine che potevano colpirmi, il mio sguardo si posò su Eleonora, con il collo aperto da un terribile squarcio, mentre divorava il suo povero ragazzo, Stefano, mentre si dibatteva ancora. Capimmo subito di dovercene andare da lì dentro, ma non appena provammo a ritornare sui nostri passi trovammo la strada tra la porta del bar e il parcheggio occupata da un gruppetto di zombie spuntati quasi dal nulla, e rientrammo velocemente, imboccando la strada che portava ai bagni e all'uscita sul retro, schivando a stento quegli zombie che, disinteressandosi del loro pasto, cercavano di mettere le loro sporche mane su una preda ancora più invitante: noi. Come temevo anche in quel corridoio c'era un assaggio dell'Inferno che avrebbe conosciuto l'intero paese nel giro di poche ore, così mi fermai, frenando la mia corsa a pochi metri dal cadavere di Matteo, sconvolto e indeciso su cosa fare: la maggior parte di loro era nei pressi della porta secondaria, rendendo la fuga quasi impossibile.
Non credevo possibile che tutto potesse avvenire tanto velocemente, nei film la gente impiegava ore a trasformarsi dopo essere stata morsa, mentre in meno di mezzora quel pub si era trasformato in zombieland. Senza tenere conto, ovviamente, dell'assurdità della cosa.
D'un tratto mi sentii strattonare, e subito dopo mi trovai quasi trascinato a terra. Mi voltai di scatto e vidi che Francesca, a cui tenevo stretta la mano da quando eravamo scesi dall'auto, era stata aggredita alle spalle da Eleonora, ora finita a terra per lo slancio. Chissà, forse il ricordo dell'odio covato nei suoi confronti l'aveva spinta a cercarla prima di ogni altro zombie presente, fatto sta che con la sua aggressione improvvisamente altri tre, quattro zombie parvero improvvisamente accorgersi della nostra presenza, abbandonando il loro pasto e dedicando a noi tutta la loro indesiderata attenzione.
Non avevamo molte vie di fuga: alle nostre spalle l'ingresso principale brulicava di zombie, alla nostra destra c'era un muro, davanti a noi un altro gruppetto di mangiatori di uomini pronti a balzarci addosso e banchettare con i nostri cervelli. Rimaneva una sola opzione: fuggire a sinistra, rintanandoci nei bagni.
Tirai energicamente Francesca verso di me, sferrai un calcio al piede d'appoggio di Eleonora, presto rimessasi in piedi, e trascinai la mia ragazza nel bagno, sperando di non trovarvi dentro nessuno. La porta dell'antibagno era a spinta, impossibile da bloccare, ma almeno potei constatare come quest'ultimo fosse deserto: nessun pazzo aveva deciso di finire i suoi giorni bloccato in un bagno con all'esterno un manipolo di zombie famelici. Beh non che avessi altre opzioni. Mi fiondai a sinistra, nel bagno degli uomini, trascinando Francesca con me, quindi chiusi il catenaccio, riflettendo solo in quel particolarissimo frangente su come questo fosse misero, sottile, superabile. Sentii un nodo alla gola.
Io e Francesca eravamo bloccati in uno spazio di 2 metri pe 1,5, protetti da una porticina di legno chiusa da un catenaccio non progettato, evidentemente, per resistere alla forza d'urto di diversi zombi che si schiantavano contro la porta. Abbracciai forte la mia ragazza guardandola negli occhi: entrambi sapevamo che presto sarebbe finita.
Continuavo a fissarla mentre lei rimaneva in silenzio, muta, e questo era strano per lei, anche in quella situazione assurda. Cercai di trovare qualcosa di confortante da dirle, ma lei mi anticipò, anche se non con delle parole: inaspettatamente cominciò a baciarmi con foga, appena un istante dopo essersi asciugata una lacrima che le stava solcando il viso.
«Francesca! Ma...» avrei voluto protestare, forse, o chiederle se le sembrava il caso di baciarci proprio in quel momento, rinunciando implicitamente a ogni speranza, ma mettendole le mani intorno alle spalle per cercare di allontanarla capii ogni cosa.
Era stata infettata.
«É stata quella troia...» commentò lei amara «mi ha graffiata un momento fa. Per me è finita, lo sai.»
Non avevo la conferma che bastasse un graffio per attivare l'infezione, ma in ogni film del genere bastava anche meno. Anche un semplice scambio di fluidi corporei. Anche un bacio.
I tremendi colpi alla porta, le urla selvagge, il suo graffio, il contatto con la sua saliva: sapevo anch'io che oramai era finita. E andarsene insieme, facendo l'amore, non sembrava in fondo un brutto modo per andarsene, anzi, forse era l'unica opzione valida per congedarsi con umanità da quel mondo ormai fottuto.
«Sai, ho sempre desiderato fare sesso con una ragazza zombie.» le sussurrai sforzandomi di sorridere, facendo un'ultima battuta tra le inevitabili lacrime.
«Credo che lo potrai spuntare dalla lista allora.» disse lei di rimando, dolce come non lo era mai stata, spingendomi lentamente a terra «Ti amo sai?»
«Anch'io.» le risposi, timoroso di aggiungere anche una sola parola che potesse guastare quell'ultimo momento. Poi la baciai, dolcemente, e facemmo infine l'amore ancora una volta, sulla soglia dell'Inferno.
Un'ultima volta.

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