giovedì 7 febbraio 2013

Sesto racconto della serie Zombie e incubi: Nono compleanno Z



Nono compleanno Z


La signora Loredana era sempre stata una fervente cristiana, nel corso di tutta la sua vita: devota al Santo Padre, al patrono del paese, S.Gerardo, e a Padre Pio da Pietralcina, del quale conservava immaginette praticamente in ogni stanza, a protezione e benedizione della casa. Per questa sua spiccata religiosità, e spinta dalla carità cristiana, tre anni prima lei e il marito avevano preso la decisione di adottare un bambino orfano di origine nigeriana di nome Michael, e da quel momento l'aveva cresciuto con tutto l'amore e l'affetto che una mamma sia capace di offrire, dedicando a lui ogni istante. Ogni sera pregava, ringraziando Dio per avere concesso a lei, clinicamente sterile e oramai alle soglie della menopausa, la benedizione di potere essere madre. Michael era la sua ragione di vita.
Quaando, pochi giorni prima, la televisione annunciò l'approssimarsi di una pericolosa pandemia mortale proveniente dal Nord Europa, lei nemmeno capì di cosa si stesse mai parlando, né ci diede troppo peso: era impegnatissima con i preparativi per il nono compleanno di Michael, corrispondente in realtà al giorno del suo arrivo a casa, e voleva che fosse tutto perfetto, indimenticabile per il piccolo.
Fosse stato semplicemente quello il suo obbiettivo, allora avrebbe anche potuto dichiararsi soddisfatta, dato che certamente non fu un compleanno ordinario.
Quella pandemia mortale di cui si parlava in televisione era solo un modo come un altro dei mass media e dei governi per cercare di nascondere, in un primo momento almeno, un disastro di proporzioni inimmaginabili, un autentico incubo: una vera e propria apocalisse zombie.
Ovviamente Loredana non solo ne ignorava le cause, ma non era nemmeno informata sugli ultimi, devastanti e impossibili eventi commentati da ogni stazione radio e tv minuto per minuto, attimo per attimo fino a poche ore prima di quel Giovedì 4 Gennaio, il compleanno di Michael. Da Lunedì, il giorno in cui aveva sentito della pandemia al telegiornale, non aveva più acceso la televisione, o meglio si, l'aveva fatto, ma solo per fare rivedere ancora e ancora a Michael la sua serie preferita su dvd. Si trattava di cartoni animati con dei ragazzi dalle pettinature improbabili impegnati a giocare a uno strano gioco di carte fatto di mostri, gioco nel quale il suo bambino perdeva interi pomeriggi, costringendola spesso a farle da avversario, impedendole di fatto un contatto con la realtà, ma a lei stava bene così: avrebbe fatto di tutto purchè Michael si sentisse felice e dimenticasse le sofferenze che doveva avere patito nella sua prima infanzia. Ogni istante della sua giornata era dedicata a lui: il marito, un rappresentante di prodotti agricoli, tornava a casa solo per il weekend, così che lei, casalinga, aveva potuto passare l'intero Mercoledì a preparare biscotti e torte, inviti e giochi, a riordinare ogni angolo della casa affinchè tutto fosse assolutamente perfetto per il compleanno del suo bambino.
La mattina di quel Giovedì però, alle 10.30, l'orario prefissato per i suoi piccoli ospiti e le loro mamme, nessuno si presentò a casa di Loredana. All'inizio non ci diede troppa importanza: le mamme potevano essersi incontrate casualmente nei pressi di casa sua e aver deciso di prendersi prima un caffè nel bar all'angolo, oppure semplicemente non spiccavano per puntualità. Con il passare dei minuti la faccenda diventò dapprima più fastidiosa, poi irritante, infine preoccupante: conosceva personalmente la maggior parte delle donne invitate, ed era impensabile che tutte loro avessero deciso di disertare la festa di compleanno di Michael. Poteva esserci stata un incomprensione, forse, poteva essere che avesse sbagliato la data della festa nei volantini, eppure era sicura di avere fatto tutto in modo corretto, e di avere ricordato più volte a tutte l'orario, il menù, il programma: era stata maniacale.
Alle 11.30, dopo aver preparato una seconda teglia di biscotti al burro, delle tartine con tonno e maionese e un cocktail leggermente alcolico per le signore, -fuori programma che servirono perfettamente alla causa per tenerla impegnata- Loredana aveva oramai esaurito quell'infinita riserva di pace interiore che abitualmente la contraddistingueva. Presa da un mix di nervosismo e rabbia aveva deciso di tempestare le amiche di telefonate fino ad ottenere le risposte che cercava circa la loro assenza a quell'evento per lei così importante, determinata a risolvere così la situazione. La sua prima chiamata non venne premiata da una risposta, né la seconda, nè la terza. Anche al quarto, al quinto e al sesto tentativo, Loredana non trovò nessuno dall'altro capo del telefono: non sapeva più cosa pensare.
Per sua fortuna Michael era ancora brillantemente distratto dal suo dvd: il piccolo pareva non essersi ancora minimamente accorto del ritardo dei suoi amici, così decise di provare a uscire in strada, solo per un attimo, per verificare che tutte le sue amiche non fossero in realtà lì fuori, a pochi passi da casa sua, rimaste bloccate in una conversazione sulla cucina o su chissà cos'altro che doveva averle tenute impegnate, creando una sorta di salotto alla soglia del cancellino di casa. Perchè era quella l'unica spiegazione plausibile che le veniva in mente, mentre nemmeno una piccolissima parte di lei aveva riflettuto su quella notizia, sentita distrattamente qualche giorno prima, del pericolo di una pandemia mortale: il suo unico pensiero era ritrovare quel gruppetto di inguaribili chiacchierone e trascinarle dentro casa, con i loro bambini, per fare finalmente partire la festa.
Pose la mano sulla maniglia della porta, voltandosi un attimo verso Michael: era una donna iperprotettiva, e non avrebbe voluto lasciarlo da solo nemmeno un istante, ma d'altra parte non voleva nemmeno che, avvisandolo che si sarebbe assentata un momento, Michael avesse potuto accorgersi dell'orario, e quindi chiedere dove mai fossero finiti i suoi amici. Loredana decise dunque di uscire di soppiatto, controllare nelle vicinanze e poi ritornare, sicuramente in compagnia, perchè tutti dovevano per forza essere lì fuori da qualche parte.
In effetti era così: loro erano là fuori.
Non appena aprì la porta, avanzando di un passo sulla soglia di casa, Loredana si accorse immediatamente di qualcosa di molto insolito: davanti al cancellino d'entrata, a meno di 10 metri da lei, diverse persone stavano chine su una signora, almeno così le parve, come se stessero cercando di rianimarla, o qualcosa del genere: non era per niente chiaro. E c'era del sangue, molto sangue, un po' da per tutto. Loredana non aveva una buona vista, tutt'altro, e non riuscì a capire perfettamente cosa stesse succedendo, ma subito pensò a un incidente, o a un malore, da parte di qualcuno, forse una delle sue amiche, e proprio davanti a casa sua: ecco perchè tardavano tanto, pensò, per un incidente, e non si erano ancora decise ad arrivare perchè forse stavano aspettando un'ambulanza, o un medico. Non riusciva a capire, però, perchè mai non avessero suonato il suo campanello, e non le avessero chiesto un aiuto: non potevano non sapere che per anni lei aveva prestato servizio come volontaria alla croce rossa. Senza perdere altro tempo decise di andare a controllare cosa stesse realmente succedendo, così infilò la mano nell'uscio di casa rimasto socchiuso e azionò il tasto per l'apertura del cancellino, che scattò con un sonoro clac metallico.
Quel suono fu l'inizio dell'incubo. Il gruppetto di persone chine sull'ipotetica vittima di un malore alzarono la testa all'unisono, incuriositi dall'origine del rumore, e sempre all'unisono puntarono i loro sguardi prima sul cancellino, poi su Loredana, rimasta pietrificata sul ciglio di casa.
Era un gruppetto composto da quattro persone, tra le quali Anna, una delle amiche che Loredana stava aspettando, poi un'altra ragazza, all'incirca di una ventina d'anni, forse una liceale, quindi un uomo ben vestito, sui quarantanni, in giacca e cravatta, e infine un ragazzino di qualche anno più grande di Michael. Tutti e quattro avevano il volto rosso di sangue, delle brutte ferite sulle braccia e sul volto e uno sguardo stranissimo, terrificante, indemoniato. Anna, la sua amica, lanciò un urlo che squarciò nel più terribile dei modi quell'istante di silenzio che era venuto creandosi, e si lanciò verso di lei, seguita a ruota dagli altri tre inquietanti personaggi improvvisamente balzati in piedi. Fu in quel momento che Loredana riuscì a scorgere, anche se vi prestò solo un breve attimo di attenzione, il corpo disteso a terra: difficile dire a chi appartenesse, ma era evidentemente stato dilaniato, e constatò con orrore come ora fosse ridotto a un'informe poltiglia sanguinolenta.
Fu un breve momento, un istante di inevitabile e curiosa contemplazione dell'orrore, e subito il gruppetto gli fu addosso, con rabbia, costringendola a rientrare in casa richiudendo la porta alle sue spalle solo un attimo prima che una mano grondante sangue riuscisse ad afferrarla. Si appoggiò con la schiena alla porta, il cuore in gola, incredula a quanto aveva visto, apparentemente insensibile alle grida terrificanti al di là di quei pochi centimetri di compensato e ai gran colpi che quegli esseri vibravano per cercare di aprirsi un varco.
Cosa significava? Cosa stava succedendo? Forse la pandemia di cui parlavano qualche giorno prima in televisione? O forse l'apocalisse, il giudizio finale, la punizione di Dio?
Non poteva riflettere, non riusciva a pensare, sentiva solo l'aumentare, progressivo e irrefrenabile, del suo battito cardiaco, poi il sopraggiungere di una sensazione di impotenza, il sudore freddo, i brividi dovuti al mancamento di forze: stava per avere un infarto, ne era convinta.
Michael uscì dall'universo parallelo creato dai cartoni animati solo in quell'istante, e solo per via del rumore prodotto dal violento sbattere dei pugni serrati di quegli esseri contro la porta. Guardò l'orologio, si voltò verso la tavola apparecchiata, sbuffò e poi scese dal divano, indossando le sue pantofole morbide con il fondo antiscivolo, fatte a forma di un personaggio di un cartone animato che non conosceva: erano un regalo del papà. Fece qualche passo in direzione della mamma, che per qualche motivo si stava riposando contro la porta d'ingresso, assumendo un aria imbronciata, e infine incrociò le braccia, affinchè lei capisse che era arrabbiato, non appena si trovò di fronte a lei.
«Dove sono i miei amici mamma? Perchè non sono ancora qui? Dove sono?» domandò, non accorgendosi nemmeno dello stato di shock nel quale era caduta la madre, o delle urla provenienti al di là della porta.
La voce del figlio riscosse Loredana, riportandola alla realtà, imponendole di riprendersi, e di reagire.
Si alzò in piedi, e abbracciò Michael con tanto impeto e tale intensità che quest'ultimo si spaventò.
«Cosa c'è mamma? Stai piangendo e sei tutta sudata sulla schiena...» protestò Michael cingendo la madre, poi aggiunse, credendo di indovinare la causa del suo strano comportamento «I miei amici non vengono vero? Se e per questo non ti preoccupare, festeggiamo io e te, da soli, e con papà quando torna a casa; mi ha promesso che sarebbe tornato presto da lavoro per portarmi un regalo, sai?»
Loredana guardò piena d'orgoglio il figlio, i suoi occhi grandi color nocciola e i suoi capelli ricci su quel visino color cioccolata: lei ci aveva messo tutta se stessa per insegnarli la lingua, i valori, il modo di porsi e di comportarsi, tutto ciò che una vera madre dovrebbe insegnare al proprio figlio, e lui era stato bravissimo, aveva imparato ogni cosa che gli era stata insegnata, e l'aveva imparata bene, ma quella bontà che sin dall'inizio l'aveva tanto colpita non era merito dei suoi insegnamenti: era un bambino buono, e lei lo amava con tutto il cuore.
«Ascoltami attentamente Michael, e fai esattamente quello che ti dirà la tua mamma, intesi?» gli disse con la voce spezzata, allargando gli occhi come se volesse ipnotizzarlo, richiamandolo al massimo dell'attenzione.
«Cosa c'è mamma?» chiese, poi alzò la testa, rimase un breve momento fermo immobile, gli occhi indirizzati su un punto indefinibile alla sua destra, come se stesse riflettendo, poi aggiunse «Chi c'è dall'altra parte della porta?»
Loredana non aveva una risposta da dare al suo bambino. Non sapeva, non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, sapeva soltanto che la situazione era disperata, sentiva vicino il momento della sua morte, della fine. Non aveva mai visto un film horror in tutta la sua vita, gli unici zombie che avesse mai visto erano stati quelli del video di Thriller, e la stessa parola comunemente adibita a definirli non faceva parte del suo vocabolario: per lei erano "quei brutti cosi", "quei mostri", e naturalmente non esistevano, non potevano esistere.
«Michael...» esordì, cercando di trovare le giuste parole «Qui fuori ci sono...ci sono dei mostri, come quelli dei tuoi cartoni animati con le carte, e vogliono prenderci...» disse, non riuscendo a trovare un modo migliore per spiegare la cosa, mentre un colpo più potente degli altri fece vibrare la porta sulla quale nell'ultimo istante era tornata ad appoggiarsi.
«Ma cosa stai dicendo mamma!» protestò Michael, che perciò aggiunse «Ora guardo io alla finestra chi è, tu mi prendi in giro!»
Con agilità scattò in direzione del salotto, avvicinò una sedia alla finestrà, vi salì sopra e ruotò la maniglia, affaciandosi e guardando alla sua sinistra per capire da sé di chi si trattasse. Quello che vide furono tre persone assurde, sporche e spaventose, urlare e affannarsi cercando di entrare nella sua casa, e un bambino, distante un passo da loro, che lo osservava, con degli occhi rossi che gli fecero paura.
Improvvisamente il bambino urlò, e si mise a correre in direzione della finestra, le braccia tese come se volesse afferrarlo: Michael si affrettò a richiudere, e quasi cadde dalla sedia quando il bambino piombò addosso al vetro premendovi contro il suo viso sporco di sangue, urlando e battendovi contro i palmi delle mani.
La mamma diceva la verità, c'erano dei mostri là fuori, c'erano degli zombie.
Lui sapeva di cosa si trattava, gli zombie erano ampiamente presenti nel gioco di carte di cui era appassionato: non era un concetto nuovo per lui, e inoltre era convinto che tutte quelle creature (zombie, draghi, tritoni e quant'altro) in fondo potessero anche esistere, in luoghi lontani.
E gli zombie esistevano, ne aveva uno proprio di fronte a sè.
Il fatto che l'avesse accettato non significava affatto che non ne fosse terrorizzato: doo un ultimo sguardo al bambino zombie che desiderava disperatamente entrare corse da sua mamma, la quale nel frattempo era rimasta accasciata contro la porta, sgolandosi per richiamarlo a sé.
Non appena la raggiunse si gettò tra le sue braccia, lasciò che per un istante lei gli accarezzasse i capelli e poi la scosse energicamente, chiedendole di andare via, di nascondersi, di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Loredana avrebbe voluto reagire, ma non riusciva: le urla, i colpi, l'immagine di quel corpo orribilmente mutilato davanti al suo cancellino...era troppo, non riusciva a gestire la cosa, né lei né il suo cuore, mentre l'ennesimo colpo vibrato alla porta da quei mostri gli trasmise la sicurezza che presto sarebbero entrati: la porta non avrebbe retto ancora a lungo.
«Michael...ti voglio bene, la tua mamma ti vuole tanto tanto bene.» disse al suo bambino tenendolo per le spalle, consapevole che quelle sarebbero state le sue ultime parole al figlio: lui poteva reagire, lei non ne era in grado «Ascoltami Michael: voglio che tu salga di sopra, nella camera di mamma e papà...chiuditi dentro, non fare rumore e non avere paura, papà presto verrà a prenderti tesoro.»
«Ma mamma e tu? Perchè non vieni con me?»
«Io starò qui, farò in modo che non entrino...è solo per sicurezza, non ti preoccupare per la mamma, tu va, fai come ti dico, per favore...per favore Michael ascolta la tua mamma...» disse, non riuscendo a trattenere le lacrime.
Lo straziante momento fu rotto da un rumore di vetri infranti: gli esseri avevano trovato breccia nella finestra del salotto: non c'era più tempo.
Un istante dopo, mentre ancora era cinto dall'abbraccio della madre, Michael vide il bambino zombie sbucare dalla porta del salotto, con un orribile taglio sul volto probabilmente dovuto al vetro che lui stesso doveva avere infranto, e dietro di lui apparve un signore con i baffi, i bei vestiti tutti strappati, completamente lordo di sangue. Alle loro spalle si udivano altri rumori, mentre al di là della porta tutto taceva: tutto il gruppo doveva aver seguito il bambino zombie e trovato così l'accesso in casa dalla finestra.
Loredana capì che doveva agire, anche se le gambe non le rispondevano, anche se era paralizzata dal terrore: doveva farlo per Michael. Baciò il figlio sulla fronte, poi gli accarezzò le guance, e lo guardò negli occhi per un ultimo istante, prima di imporgli, con fermezza, di fare come aveva detto, di correre su di sopra e chiudersi dentro la stanza. In Micheal prevalse la grande paura per gli zombie, con il conseguente istinto di fuga: fece le scale due a due e, una volta in cima, si voltò, come se si fosse' in quel tratto, dimenticato che la madre non lo stava seguendo, ma rimase sconvolto da quel che vide, urlò e si precipitò nella camera di mamma e papà, richiudendo subito a chiave la porta.
Il suono della chiave nella toppa rese felice Loredana, fiera del suo bambino e di come l'avesse ascoltata nel suo ultimo ordine, felice, anche se in quel momento un bambino la stava divorando. Non appena vide la piccola schiena di Michael inerpicarsi su per le scale, infatti, Loredana si trascinò sul primo fradino delle medesime, bloccando di fatto il passaggio. Provò poi a respingere sia l'uomo che il bambino, tremò di paura quando vide sopraggiungere anche la sua amica e la ragazzina, ma non poteva reagire, non poteva impedire che i quattro facessero di lei la stessa cosa fatta a quella povera cristiana davanti al suo vialetto.
Pensò a Dio, a Padre Pio, a S.Gerardo e a tutti i santi che aveva pregato e ringraziato, nel corso della vita, per riuscire ad essere mamma, e per divenire una buona moglie e una brava madre. Possibile che dopo averla benedetta così tanto avessero permesso questo? E che ne sarebbe stato di Michael? Se anche lei avesse commesso dei peccati, lui no, lui non poteva meritare nulla di tutto questo, ne era certa, certissima.
Decise che non avrebbe sprecato i suoi ultimi istanti a pregare. Con la mano destra afferrò la caviglia dell'uomo ben vestito che la stava scavalcando, attirato dal pianto di Michael al piano superiore, lo strattonò e lo fece cadere addosso agli altri tre impegnati a divorarle piedi e polpacci, gambe e stomaco. Era riuscita a inibire il dolore, per l'adrenalina, per la paura, per sforzarsi di cercare un modo per aiutare il suo bambino, fino all'ultimo istante, ma ora, alla vista del suo corpo straziato, urlò di dolore e disperazione, mentre all'unisono gli esseri, rabbiosi, digrignarono i denti lordi del suo sangue e della sua carne, per attaccare ancora. Fu a quel punto che Loredana ricevette l'ultima benedizione della sua vita: perse i sensi, e per lei l'incubo finalmente finì.
Per Michael era tutta un'altra storia. Dopo aver visto la madre aggredita da quegli zombie orribili, dopo averla sentita urlare, dopo aver pianto a squarciagola, si accorse dello strano silenzio che ora regnava nella casa. Appoggiò l'orecchio contro la porta: non sentì nulla. Provò quindi a sfilare la chiave dalla toppa, e puntò l'occhio sul buco della serratura, posto dirimpetto alla rampa delle scale: dapprima non vide nulla, poi scorse una testa bionda comparire dalle scale, con un'aria familiare nonostante fosse imbrattata di sangue. Era la mamma di Luca, un suo amico. Ciondolava incerta, e aveva oramai guadagnato il corridoietto di fronte a lui: a destra c'era il bagno, a sinistra la sua cameretta, ed entrambe le stanze erano aperte, così che Michael immaginò che, se era lui che stava cercando, non ci avrebbe messo molto a capire dove fosse nascosto.
Doveva scappare, non poteva aspettare il suo papà.
Fosse stato di qualche anno più grande, o più piccolo, sarebbe rimasto paralizzato dalla comparsa di quegli esseri, dalla morte della madre, dalla consapevolezza di essere braccato da dei mostri che volevano mangiarselo. In quel momento, però, e forse grazie a un'elasticità mentale fornitagli dai cartoni animati che tanto lo appassionavano, Michael accettò tutto quello che stava accadendo, preparandosi ad agire di conseguenza. Frugò nei cassetti del comodino alla ricerca di qualcosa che potesse essergli utile, poi, accortosi che non c'era nulla se non calzini, fazzoletti e creme, decise di svuotarlo completamente e trascinarlo contro la porta, per fare ostruzione. Dimenticò che così facendo avrebbe facilmente rivelato allo zombie al di là della porta la sua posizione, e per questo motivo quasi cadde a terra quando la mamma del suo amico piombò contro la superficie in legno, urlando e battendovi contro i pugni. Michael si sforzò di ignorarla, e passò a svuotare sistematicamente anche il cassettone adiacente alla porta, poi si infilò nel poco spazio tra cassettone e muro, puntò i piedi contro il battiscopa e iniziò a spingere con la schiena, più che poteva. Presto il cassettone cominciò a muoversi, prima di pochi centimetri, poi con strappi sempre più ampi, fino al raggiungimento del suo obbiettivo: ora comodino e cassettone bloccavano la porta, e anche se non poteva dire con sicurezza che questo stratagemma avrebbe retto in eterno, era comunque sicuro di avere ora un po' di tempo in più per pensare a come fuggire.
Non aveva molte possibilità: solo la finestra, la quale si affacciava su una stretta tettoia, dalla quale non poteva saltare giù. Si avvicinò comunque alla finestra, vi accostò una sedia per arrivare ad aprirla e si affacciò: vedeva nubi di fumo sollevarsi dalla città in lontananza, sentiva il rumore delle sirene della polizia, delle ambulanze, degli allarmi, e si chiese come mai fino a qualche istante prima non sentisse nulla di tutto questo, ma non seppe darsi una risposta. Uscì fuori, e appoggiò incerto una ciabatta sulla prima tegola, mentre il gruppo di zombie dietro la porta alle sue spalle doveva essersi fatto più numeroso, e ora picchiava il legno con forza, facendo vibrare comodino e cassettone. Non c'era tempo per la paura dell'altezza in un mondo dove gli zombie esistevano, così Michael si decise ad avanzare costeggiando, per istinto, la sua destra. Dopo pochi passi e dopo aver incontrato due finestre chiuse sul suo cammino, Michael si accorse che il capanno degli attrezzi del signor Adolfo, nell'ultima delle villette a schiera, era abbastanza alto e abbastanza vicino alla grondaia: avrebbe potuto raggiungerne il tettuccio con un balzo, e poi da lì saltare a terra senza rischiare di farsi troppo male. Poi avrebbe scavalcato il cancellino e raggiunto il suo, scavalcato anche quello avrebbe recuperato la sua bici e la chiave dal cestino delle mollette, e infine sarebbe potuto finalmente scappare via.
Prima di raggiungere la fine del tetto per poter dare il via al suo piano, però, Michael passò di fronte alla finestra della camera da letto del signor Adolfo, e quest'ultima, con le tendine scostate, permetteva di guardare all'interno della stanza, dove un movimento fulmineo attirò la sua attenzione. Preso dalla curiosità si avvicinò per dare un'occhiata, e si ritrovò all'improvviso a pochi centimetri, separati solo da una lastra di vetro, dal volto mostruoso della moglie del signor Adolfo, la signora Giovanna, con la faccia mezza mangiata, e un occhio mancante. Michael si spaventò da morire, e non potè evitare di cadere sulle tegole del tetto, rotolando verso il basso. All'ultimo istante riuscì ad aggrapparsi al bordo della grondaia, ma non riuscì a issarsi nuovamente sul tetto, e si lasciò cadere nel giardino sottostante, nonostante il dolore alle gambe che sapeva avrebbe provato. Non appena toccò terra si guardò intorno, circospetto: il garage di casa era spalancato, e temeva che la signora Giovanna potesse sbucare fuori da un momento all'altro, quindi si affrettò a scavalcare il cancellino e a correre lungo la stradina privata fino a raggiungere il suo, e si apprestò a scavalcarlo. Dalla portiera aperta dell'auto dei suoi vicini parcheggiata nel vialetto sbucò però una mano insanguinata, e un istante dopo Chiara, la figlia sovrappeso dei vicini, si lanciò contro di lui, cercando di ghermirlo, facendolo rinunciare all'idea di rientrare in casa sua per il terribile spavento, e costringendolo a fuggire, a piedi, dalla sua enorme mole lanciata all'inseguimento.
Ovunque Michael vedeva altri zombie uscire dalle case, dalle auto, dai viali, e ognuno di loro almeno per un momento allungava le braccia verso di lui, per afferrarlo. Michael correva e correva, senza fermarsi, piangendo, a tratti, ma consapevole di non potersi fermare, pur non avendo una meta. Corse così tanto che infine gli si consumarono quelle ciabattine da casa che indossava, e si accorse che i piedi, arrossati, gli facevano un male cane.
Si guardò intorno: doveva avere corso parecchio, perchè non aveva idea di dove fosse finito, certamente molto lontano da casa sua. Poi riconobbe un edificio, dipinto di blu, e si ricordò che proprio in fondo a quella via abitava Marco, uno dei suoi più cari amici, uno di quelli che avrebbe dovuto essere presente alla sua festa quel mattino. Forse in quella zona non erano ancora arrivati gli zombie, non ne vedeva in giro, forse il suo amico si era nascosto in casa, con la sua mamma e il suo papà, perchè loro sapevano. Michael non aveva validi argomenti per convincersi di questo, ma la paura, i piedi doloranti e consumati dalla lunga corsa e l'assoluto bisogno di trovare qualcuno in quell'inferno, qualcuno di vivo, lo spinsero a raggiungere la casa del suo amico. Il cancellino di casa era aperto, e così Michael entro, avanzando fino alla porta di casa, anch'essa aperta, anzi, accostata. Aveva deciso di non suonare il campanello per non fare rumore, per non attirare eventuali zombie con quel suono, quindi spinse un poco la porta ignorando deliberatamente quella sensazione di pericolo incombente che si stava facendo strada dentro di lui.
«Marco? Marco ci sei? Sono Michael!» domandò non appena si affacciò dentro casa, con una vocina esile e condizionata dalla grande paura che stava provando in quel momento.
Non ottene nessuna risposta, quindi decise di avanzare fino al salotto, dove finalmente vide Marco, accucciato in un angolo, come se stesse piangendo.
«Marco!» esclamò Michael, ma un istante dopo si accorse di un particolare agghiacciante che gli era sfuggito, pochi istanti prima: a lato del divano era distesa la mamma di Marco, morta, con la faccia praticamente mancante, e senza un braccio.
«Marco...» ripetè Michael ancora, prima che il suo amico si voltasse verso di lui, masticando il braccio della madre.
Michael si lasciò cadere sulle proprie gambe, rimase immobile quando il suo amico, oramai divenuto uno zombie famelico, balzò contro di lui, addentandolo mortalmente al collo. Aveva provato a fuggire, e a salvarsi, ma aveva perso.
I suoi punti vita erano andati a zero.

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