Io
non vedo, io non sento
All'attenzione
della gentilissima Miss. Wettington, Direttrice dell'Istituto
Psichiatrico St. Paul
Direttice
carissima,
La
prego anzitutto di accettare il modesto omaggio floreale che mi sono
permesso di farLe pervenire, per l'infinita gentilezza con la quale
mi ha accolto, sia pur temporaneamente, nel Suo istituto. Parlo di
un'esperienza temporanea in quanto, come Lei certamente saprà, la
mia presenza nella sua struttura non ha ragione di protrarsi per
molto tempo ancora: il lieve stato confusionale nel quale mi ero
ritrovato a essere è oramai completamente superato, grazie
all'efficace confronto con i capacissimi medici sui quali può
contare una struttura del livello della St. Paul. Le chiedo,
pertanto, una riesamina del mio caso, affinchè gli eccellenti
servizi dell'Istituto di cui Lei è a capo possano essere offerti
alle persone che più ne necessitino.
Cordialmente,
H.P.
Rutheford
Thomas
Reed, trentaseienne avvocato del Maine con la sventura di essere
stato assegnato d'ufficio al caso del Signor Rutheford, rilesse
attentamente quanto egli stesso aveva scritto, nel disperato
tentativo di gettare una parvenza di rispettosità, diligenza e
ossequiosità laddove il suo assistito altro non mostrava che
arroganza, sicurezza e follia. Nemmeno lui sapeva perchè mai avesse
preso tanto a cuore quell'uomo, ma al momento aveva deciso di
rischiare, facendo passare quella richiesta scritta di suo pugno come
una lettera proveniente direttamente dal suo assistito. Non che
quest'ultimo non ci avesse provato, anzi, tra le mani di Reed si
trovavano ora quasi una dozzina di lettere traboccanti richieste di
liberazione, invocazioni a un ritorno a casa, assicurazioni circa la
propria sanità mentale. Il problema consisteva nel fatto che H.P.
Rutheford, pur non essendo in alcun modo pericoloso per la società
-di questo Reed ne era convinto- al momento non poteva assolutamente
essere definito come una persona nel pieno controllo delle proprie
facoltà mentali. Era stata quell'ultima lettera, quella che aveva
stracciato subito dopo averla letta, a convincerlo che quell'uomo
doveva ritornarsene nella sua casa, lontano da tutto e tutti, uscendo
così definitivamente dalla sua vita. Leggere quelle righe deliranti
l'aveva turbato, tanto che le parole di quell'uomo si erano incise
nella sua mente nonostante avesse immediatamente ridotto a brandelli
i fogli sui quali erano state scritte, al punto da poterle recitare a
memoria alla perfezione:
All'attenzione
della Signora Wettington, Direttrice dell'Istituto Psichiatrico St.
Paul
Signora
Wettington, Le scrivo per informarLa dei progressivi e costanti
miglioramenti del mio stato di salute, non potendo essere certo che
questi dati non Le giungano alterati da alcuna fonte. Le rammento
inoltre di come, a dispetto di quanto dichiarato dal personale, io
non ho mai richiesto alcun materiale che possa essere considerato
"strano": solamente un rosario, per le ore di preghiera,
alcune piccole campane dalla mia collezione privata, per l'armonia
che il loro suono mi induce, e un sacchetto di sale grosso, il cui
effetto, una volta applicato con l'ausilio di impacchi sulla mia zona
lombare, è di comprovata efficacia. Un uso diverso da parte mia di
questi oggetti scade semplicemente nella congettura. Mi trovo inoltre
costretto a segnalare la facilità di suggestione per la quale si
contraddistinguono gli inservienti addetti alla pulizia dell'ala
dell'edificio in cui attualmente risiedo, rammaricandomi delle false
notizie che costoro possano avere diffuso. Le confermo, dunque, che
non vedo alcuna ombra, la notte, nella mia stanza, né tantomeno vi
comunico in alcun modo. Le urla che taluni dichiarano di aver sentito
nel cuore della notte non sono altro che l'amplificazione e
l'esagerazione dell'effetto di alcuni incubi avuti recentemente a
causa della tensione accumulata per l'eccessivo stress dovuto
a questa situazione. Non vedo ombre nascondersi negli angoli bui
della mia stanza, non le vedo strisciare fuori con esasperante
lentezza, nè osservo con orrore le loro lunghe dita tendersi
fino ad afferrarmi. Non sento il loro respiro dietro al mio orecchio,
non percepisco il nero livore per il cuore che mi batte nel petto né
la cieca rabbia dovuta alla loro incapacità di ottenere ciò che più
desiderano: tutto questo non è che parte dei miei incubi, e il mio
rammarico consiste nell'essermi confidato con persone tanto infantili
da avere diffuso simili sciocchezze come parte di un'esperienza reale
da me vissuta. Le ripeto, io non vedo mostri, nè ombre o demoni, non
ne sono ossessionato al punto di richiederLe certi oggetti nella
convinzione che essi possano proteggermi contro queste creature di
fatto inesistenti, tranne che nei miei incubi.
Fiducioso
nelle Sue capacità di valutazione,
e
ringraziandoLa per il suo tempo,
H.P.
Rutheford
Per
Rutheford, Reed lo sapeva, le ombre erano più che mai reali e le sue
grida, nella notte, avevano qualcosa di terrificante. Quello che più
aveva spaventato l'avvocato era uno stralcio di foglio che lo stesso
Rutheford si era premurato di barrare affinchè non venisse inserito
nella lettera alla direttrice dell'ospedale psichiatrico, forse in un
raro lampo di lucidità. Raccontava nei minimi dettagli un sogno che
dichiarava di avere fatto, chiedendo alla Wettington di aiutarlo
nella sua interpretazione, confidando nelle sue capacità. Reed lo
teneva ancora tra le mani, rabbrividendo nell'immaginare come
Rutheford avesse vissuto quell'esperienza, provando, per un secondo
appena, a viverla sulla sua pelle.
Questa
sera, dopo la porzione di ottimo stufato servito dalla Señora Maria,
ho avvertito un lieve giramento di capo, provvedendo a coricarmi
anzitempo, fatto a cui riconduco il sonno animato da incubi che ne è
conseguito. Dal momento in cui incubi di tale risma sono
frequentissimi, Le vorrei chiedere una sua interpretazione al
riguardo, un confronto per cercare in queste proiezioni illusorie i
veri problemi per cui, nel recente passato, una cattiva gestione
dello stress mi ha portato ad essere temporaneamente ospite del suo
Istituto. Dopo pochi minuti, così almeno mi è parso, iniziai a
sentire gli occhi molto, molto pesanti, eppure mi rifiutavo di cedere
al sonno. Notai allora delle difformità nelle ombre proiettate dalle
luci delle pareti, ombre che sembravano allungarsi e poi restringersi
come se ogni oggetto (la lampada, l'orologio, la tenda..) venisse
scosso da un forte vento, creando una moltitudine di onde nere, molto
più scure di quanto le ombre mi apparivano solo pochi istanti prima.
Tutte queste difformità createsi iniziarono poi a sciamare in un
unico punto, riversandosi sulla parete opposta, formando prima un
cerchio, poi qualcosa di simile a una forma, senza che la si potesse
definire tale, ad ogni modo. Questa figura -la definisco figura per
aiutarla a comprendere meglio il mio caso- iniziò gradualmente a
espandersi, fino a invadere le pareti laterali e il soffitto, e a un
certo punto iniziò a respirare. Dico respirare, ma non si trattava
di un respiro vero e proprio, era qualcosa di strozzato e sgraziato,
di fetido pur essendo inodore. L'ombra iniziò a discendere su di me,
aumentando l'intensità di quell'aberrazione che in precedenza ho
chiamato respiro, e vidi distintamente 2 mani, scarne e putride,
allungarsi in direzione del mio petto, divenendo solide rispetto alle
ombre che prima erano e allora si, allora ho urlato, al culmine
dell'incubo, risvegliandomi in un letto di sudore, sentendo sulla mia
pelle il contatto con quelle mani fredde, sul mio collo la condensa
del suo respiro.
Rutheford
non concludeva questo racconto con la richiesta di un aiuto, lo
troncava e basta, barrandolo in seguito affinchè Reed capisse di non
doverlo fare arrivare alla direttice, anche se era solo la storia di
un incubo. Questo perchè l'uomo dichiarava che era solo un brutto
sogno che si ripeteva, perchè dichiarava di non vedere, di non
sentire, ma Reed sapeva.
Rutheford
vedeva.
Rutheford
sentiva.
Nessun commento:
Posta un commento