mercoledì 4 settembre 2013

Il ritorno

Dopo molto tempo rieccomi con un nuovo racconto per un contest; il tema? la normalità della vita in manicomio... Eccovelo!


Io non vedo, io non sento


All'attenzione della gentilissima Miss. Wettington, Direttrice dell'Istituto Psichiatrico St. Paul

Direttice carissima,
La prego anzitutto di accettare il modesto omaggio floreale che mi sono permesso di farLe pervenire, per l'infinita gentilezza con la quale mi ha accolto, sia pur temporaneamente, nel Suo istituto. Parlo di un'esperienza temporanea in quanto, come Lei certamente saprà, la mia presenza nella sua struttura non ha ragione di protrarsi per molto tempo ancora: il lieve stato confusionale nel quale mi ero ritrovato a essere è oramai completamente superato, grazie all'efficace confronto con i capacissimi medici sui quali può contare una struttura del livello della St. Paul. Le chiedo, pertanto, una riesamina del mio caso, affinchè gli eccellenti servizi dell'Istituto di cui Lei è a capo possano essere offerti alle persone che più ne necessitino.

Cordialmente,
H.P. Rutheford

Thomas Reed, trentaseienne avvocato del Maine con la sventura di essere stato assegnato d'ufficio al caso del Signor Rutheford, rilesse attentamente quanto egli stesso aveva scritto, nel disperato tentativo di gettare una parvenza di rispettosità, diligenza e ossequiosità laddove il suo assistito altro non mostrava che arroganza, sicurezza e follia. Nemmeno lui sapeva perchè mai avesse preso tanto a cuore quell'uomo, ma al momento aveva deciso di rischiare, facendo passare quella richiesta scritta di suo pugno come una lettera proveniente direttamente dal suo assistito. Non che quest'ultimo non ci avesse provato, anzi, tra le mani di Reed si trovavano ora quasi una dozzina di lettere traboccanti richieste di liberazione, invocazioni a un ritorno a casa, assicurazioni circa la propria sanità mentale. Il problema consisteva nel fatto che H.P. Rutheford, pur non essendo in alcun modo pericoloso per la società -di questo Reed ne era convinto- al momento non poteva assolutamente essere definito come una persona nel pieno controllo delle proprie facoltà mentali. Era stata quell'ultima lettera, quella che aveva stracciato subito dopo averla letta, a convincerlo che quell'uomo doveva ritornarsene nella sua casa, lontano da tutto e tutti, uscendo così definitivamente dalla sua vita. Leggere quelle righe deliranti l'aveva turbato, tanto che le parole di quell'uomo si erano incise nella sua mente nonostante avesse immediatamente ridotto a brandelli i fogli sui quali erano state scritte, al punto da poterle recitare a memoria alla perfezione:

All'attenzione della Signora Wettington, Direttrice dell'Istituto Psichiatrico St. Paul

Signora Wettington, Le scrivo per informarLa dei progressivi e costanti miglioramenti del mio stato di salute, non potendo essere certo che questi dati non Le giungano alterati da alcuna fonte. Le rammento inoltre di come, a dispetto di quanto dichiarato dal personale, io non ho mai richiesto alcun materiale che possa essere considerato "strano": solamente un rosario, per le ore di preghiera, alcune piccole campane dalla mia collezione privata, per l'armonia che il loro suono mi induce, e un sacchetto di sale grosso, il cui effetto, una volta applicato con l'ausilio di impacchi sulla mia zona lombare, è di comprovata efficacia. Un uso diverso da parte mia di questi oggetti scade semplicemente nella congettura. Mi trovo inoltre costretto a segnalare la facilità di suggestione per la quale si contraddistinguono gli inservienti addetti alla pulizia dell'ala dell'edificio in cui attualmente risiedo, rammaricandomi delle false notizie che costoro possano avere diffuso. Le confermo, dunque, che non vedo alcuna ombra, la notte, nella mia stanza, né tantomeno vi comunico in alcun modo. Le urla che taluni dichiarano di aver sentito nel cuore della notte non sono altro che l'amplificazione e l'esagerazione dell'effetto di alcuni incubi avuti recentemente a causa della tensione accumulata per l'eccessivo stress dovuto a questa situazione. Non vedo ombre nascondersi negli angoli bui della mia stanza, non le vedo strisciare fuori con esasperante lentezza, nè osservo con orrore le loro lunghe dita tendersi fino ad afferrarmi. Non sento il loro respiro dietro al mio orecchio, non percepisco il nero livore per il cuore che mi batte nel petto né la cieca rabbia dovuta alla loro incapacità di ottenere ciò che più desiderano: tutto questo non è che parte dei miei incubi, e il mio rammarico consiste nell'essermi confidato con persone tanto infantili da avere diffuso simili sciocchezze come parte di un'esperienza reale da me vissuta. Le ripeto, io non vedo mostri, nè ombre o demoni, non ne sono ossessionato al punto di richiederLe certi oggetti nella convinzione che essi possano proteggermi contro queste creature di fatto inesistenti, tranne che nei miei incubi.

Fiducioso nelle Sue capacità di valutazione,
e ringraziandoLa per il suo tempo,
H.P. Rutheford

Per Rutheford, Reed lo sapeva, le ombre erano più che mai reali e le sue grida, nella notte, avevano qualcosa di terrificante. Quello che più aveva spaventato l'avvocato era uno stralcio di foglio che lo stesso Rutheford si era premurato di barrare affinchè non venisse inserito nella lettera alla direttrice dell'ospedale psichiatrico, forse in un raro lampo di lucidità. Raccontava nei minimi dettagli un sogno che dichiarava di avere fatto, chiedendo alla Wettington di aiutarlo nella sua interpretazione, confidando nelle sue capacità. Reed lo teneva ancora tra le mani, rabbrividendo nell'immaginare come Rutheford avesse vissuto quell'esperienza, provando, per un secondo appena, a viverla sulla sua pelle.

Questa sera, dopo la porzione di ottimo stufato servito dalla Señora Maria, ho avvertito un lieve giramento di capo, provvedendo a coricarmi anzitempo, fatto a cui riconduco il sonno animato da incubi che ne è conseguito. Dal momento in cui incubi di tale risma sono frequentissimi, Le vorrei chiedere una sua interpretazione al riguardo, un confronto per cercare in queste proiezioni illusorie i veri problemi per cui, nel recente passato, una cattiva gestione dello stress mi ha portato ad essere temporaneamente ospite del suo Istituto. Dopo pochi minuti, così almeno mi è parso, iniziai a sentire gli occhi molto, molto pesanti, eppure mi rifiutavo di cedere al sonno. Notai allora delle difformità nelle ombre proiettate dalle luci delle pareti, ombre che sembravano allungarsi e poi restringersi come se ogni oggetto (la lampada, l'orologio, la tenda..) venisse scosso da un forte vento, creando una moltitudine di onde nere, molto più scure di quanto le ombre mi apparivano solo pochi istanti prima. Tutte queste difformità createsi iniziarono poi a sciamare in un unico punto, riversandosi sulla parete opposta, formando prima un cerchio, poi qualcosa di simile a una forma, senza che la si potesse definire tale, ad ogni modo. Questa figura -la definisco figura per aiutarla a comprendere meglio il mio caso- iniziò gradualmente a espandersi, fino a invadere le pareti laterali e il soffitto, e a un certo punto iniziò a respirare. Dico respirare, ma non si trattava di un respiro vero e proprio, era qualcosa di strozzato e sgraziato, di fetido pur essendo inodore. L'ombra iniziò a discendere su di me, aumentando l'intensità di quell'aberrazione che in precedenza ho chiamato respiro, e vidi distintamente 2 mani, scarne e putride, allungarsi in direzione del mio petto, divenendo solide rispetto alle ombre che prima erano e allora si, allora ho urlato, al culmine dell'incubo, risvegliandomi in un letto di sudore, sentendo sulla mia pelle il contatto con quelle mani fredde, sul mio collo la condensa del suo respiro.

Rutheford non concludeva questo racconto con la richiesta di un aiuto, lo troncava e basta, barrandolo in seguito affinchè Reed capisse di non doverlo fare arrivare alla direttice, anche se era solo la storia di un incubo. Questo perchè l'uomo dichiarava che era solo un brutto sogno che si ripeteva, perchè dichiarava di non vedere, di non sentire, ma Reed sapeva.
Rutheford vedeva.
Rutheford sentiva.




 

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