L'ultimo avamposto
«Più veloci, più veloci dannazione!» imprecò Lennox rivolgendosi ai conducenti dei carri di coda, staccati dal resto del gruppo di alcune decine di metri.
Udì in risposta nulla più di un vociare confuso dal nitrito dei cavalli, dal rumore delle ruote malmesse dei carri lanciati alla massima velocità consentita loro dal terreno impervio e dagli orribili ululati delle bestie che stavano sciamando dai boschi circostanti, innumerevoli.
«Che state facendo? Sbrigatevi! Sbrigatevi!» urlò ancora, mentre i due carri di coda perdevano gradualmente contatto con gli altri quattro di testa, consapevole dell'impossibilità di rallentare per aspettarli, ma incapace di accettare la realtà dei fatti.
Lui, forse l'ultimo capitano della Guardia Reale del regno di Findor, avrebbe dovuto accettare il disonore d'assistere inerme alla morte di alcuni di quegli stessi cittadini che aveva giurato di proteggere a costo della sua stessa vita. Non erano più, d'altra parte, i tempi dell'onore e della giustizia: il regno era caduto, e l'ordine con esso.
Si impose di guardare avanti, di considerare l'evento con piglio militare: la perdita dei carri di coda avrebbe fornito ai carri di testa del tempo preziosissimo per aumentare le loro possibilità di raggiungere indenni l'avamposto di Goza, la loro unica possibile meta.
Eppure le urla di quegli uomini, come se fosse la sua stessa carne ad essere ridotta a brandelli dalle zanne dei mannari piuttosto della loro, e quelle voci, disperate...
No, non poteva tornare indietro: loro erano ormai spacciati, mentre più di altre venti persone contavano su di lui, solo su di lui per poter coltivare ancora una minima speranza di poter sopravvivere. Tra loro, inoltre, si trovava l'unica traccia di sangue reale rimasta al mondo: Selenya, nipote della defunta e amata Regina. Con lei si trovava la sua cameriera Yohanne e il più anziano tra i giullari di corte, quel Samar che aveva tanto detestato, da piccolo, per l'allegra caricatura che faceva del suo maestro, il fondatore stesso dell'Ordine speciale di Eefret di cui aveva ricevuto il privilegio di fare parte, ma che ora era fondamentale per la sua preziosa collaborazione.
Allo stato attuale quelle quattro persone rappresentavano tutto ciò che rimaneva della corte reale; il resto erano mercanti e contadini, rifugiatisi all'interno delle mura solo dopo l'invasione delle bestie. E poi c'era lui, naturalmente, il primo membro dell'Ordine ad essere nominato capitano della Guardia Reale, l'ultimo dei combattenti del regno rimasto in vita all'interno delle mura della capitale, e probabilmente dell'intero regno.
Non era stata una decisione facile, quella di abbandonare la città che era stata il cuore pulsante del regno, la cui popolazione poteva contare più di un terzo di quella degli interi dominii di Findor. Ora però era composta da nullaltro che un cumulo di ossa e macerie, lugubri avanzi dei pasti e delle scorrerie dei mannari che erano penetrati ogni giorno di più, tra brecce e passaggi, prendendo inesorabilmente il dominio della città. Dopo mesi passati arroccati tra le mura più interne del castrum, ormai preda dei morsi della fame e della follia che solo l'inedia e la paura sanno insinuare negli uomini, il piccolo drappello di soldati rimasti ai suoi ordini aveva deciso di abbandonare il proprio capitano e i propri cittadini, tentando un'improbabile fuga notturna verso Goza, l'unico posto sicuro del regno, a loro dire. Carichi delle ultime provviste residue i soldati erano partiti per l'improbabile impresa come ladri nella notte, cercando con la furtività di eludere il prodigioso olfatto dei nemici: le loro grida, tanto simili a quelle degli sventurati nei carri di coda, si erano impresse a fuoco nella sua mente. In quell'occasione Lennox si rese comunque conto di quanto la salvezza fosse lontana da quelle mura, e di come i suoi soldati, pur disertori, potessero avere ragione: se la salvezza esisteva, allora risiedeva a Goza, al di là del grande fiume, protetta dalle montagne ad Est e dal deserto a Nord.
«Capitano... Capitano!» esclamò senza alcun tatto Sloan, il giovanotto con i capelli rossi che, tra le poche scelte possibili, Lennox aveva eletto come a una specie di vice, dato che era perlomeno robusto, schietto e sapeva tenere in mano una spada.
«Che c'è Sloan? Ci sono dei problemi?» chiese il capitano emergendo dai suoi dolorosi ricordi.
Sloan affiancò il suo cavallo pezzato a quello nero di Lennox, facendogli cenno di avvicinarsi il più possibile, come se potesse realmente sussurrargli qualcosa mentre erano lanciati a tutta velocità, con i mannari solo a poche centinaia di metri alle loro spalle, impegnati a cibarsi dei cadaveri dei loro compagni.
«Abbiamo perso degli amici.»
«Lo so Sloan... lo so. Non sono i primi, non saranno gli ultimi. Sapevamo tutti quali fossero i rischi di questo viaggio.» commentò Lennox, intuendo quanto voleva dire Sloan se solo avesse trovato il coraggio di farlo: avrebbe voluto riferirgli che tutti erano terrorizzati, stanchi, assetati, e con una paura tremenda di fare la stessa fine degli sventurati passeggeri dei carri di coda, un terrore assolutamente giustificato, a dire il vero.
«Cosa devo riferire a Samar?» chiese Sloan mantenendo lo sguardo dritto davanti a sé, pronto semplicemente a obbedire agli ordini: era in poco tempo divenuto un ottimo subordinato.
«Digli di tranquilizzare Miss Selenya, se gli è possibile, e di dare istruzioni affinchè si continui a mantenere il carro di testa a questa velocità: tra poco dovremmo riuscire a vedere le porte di Goza, ne sono certo.» dichiarò Lennox non mancando di imprimere molta più fiducia in quella frase di quanta in realtà ne avesse.
Sloan obbedì immediatamente all'ordine, e avanzò affiancando il carro in cui viaggiava Selenya, il più bello dell'intera spedizione: per quanto era ancora possibile, Lennox amava attenersi ancora al protocollo, riservando solo il meglio per la famiglia reale, che non doveva e non poteva passare inosservata. Era consapevole di come la protezione della principessa rappresentasse ora il più elevato dei suoi compiti, nonchè l'unico mezza per evitare che quel gruppo allo sbando perdesse la propria identità.
D'un tratto si accorse che il tempo concesso loro dai propri compagni caduti stava già per terminare: sentiva la poderosa corsa dei mannari, vedeva alzarsi in lontananza nubi di polvere e terriccio dovute alla furia con la quale calcavano il terreno, spinti non dalla fame, ma dall'istinto predatorio con cui il loro stesso padre li aveva creati. Erano strumenti di morte, figli delle loro stesse mani, della follia di un uomo fatto di carne ed ossa come loro, ma senza un'anima, e il cui nome non sarebbe dovuto mai esistere, né essere ricordato, ma anzi disperso nell'abisso della sua necromantica magia. Si era invece affidato a lui il Re in persona, nella futile speranza che, fornendolo dei mezzi richiesti, sarebbe stato infine in grado di porre fine alla sanguinaria e secolare guerra, e fu così che iniziò la fine, il regno dei mannari che si rivolsero contro il loro stesso creatore, e contro ogni altra forma di vita del mondo abitato, sorgendo dalla magia oscura, dai resti dei caduti e dalla polvere stessa, a centinaia, a migliaia, fino alla morte dello stregone loro padre. Erano creature estremamente forti e astute, incredibilmente tenaci, bramose di carne e sangue: la manifestazione diretta di ogni incubo possibile.
«Sloan!!» gridò, richiamando immediatamente l'attenzione del giovane, che arretrò nelle retrovie non avvedendosi ancora dell'inseguimento dei mannari alle sue spalle, anzi, comparendo con un indecifrabile sorriso sul volto.
«Capitano!» esclamò «Capitano, il cocchiere del carro di testa ha avvistato i cancelli di Goza!»
«Bene, benissimo!» sospirò Lennox, benedicendo l'insperata notizia, poi, ricordandosi della turba di mannari dietro di sé, ordinò «Cavalca più velocemente che puoi, raggiungi i cancelli e dai disposizioni a chiunque sia di guardia di spalancare i cancelli per farci passare, e poi di prepararsi a richiuderli il più velocemente possibile: abbiamo dozzine di mannari alle calcagna. Ricordati di dir loro che parli per nome della principessa Selenya, legittima erede del trono di Findor: questo dovrebbe garantire per la tua incolumità e per la loro obbedienza.. Vai, veloce!»
Sloan capì subito l'importanza del compito che Lennox gli aveva assegnato, quindi colpì con i talloni i fianchi del cavallo e scattò velocemente precedendo l'intera carovana di carri, deglutendo rumorosamente alla ricerca delle giuste parole di ambasceria, seguito dal suo capitano impegnato a incitare ogni cocchiere a ottenere il meglio da ogni cavallo, dispensando parole di incoraggiamento e ordini, innestando speranza e paura.
Prima di voltarsi e tornare a chiudere le fila del gruppo, Lennox permise che lo sguardo si attardasse brevemente all'interno del carro della principessa, al di là del piacevole volto di Yohanne e del rubicondo viso di Samar, fino a posarsi sulla bella Selenya, la donna che avrebbe protetto a costo di morire per farlo, per il ruolo assegnatogli dal fato, ma che avrebbe inoltre amato più di ogni altra cosa, in un altro tempo, in un'altra vita. Non era frutto di un capriccio, o di un'infatuazione momentanea: Selenya era sempre stata avventurosa a corte, violando limiti e imposizioni, curiosando nella piazza d'armi e nei laboratori anzichè nella biblioteca e in sartoria, mostrando sempre grande curiosità per la magia e una grande attitudine alla fuga dai suoi appartamenti. Fu a causa di una di quelle fughe che Lennox ebbe modo di conoscerla, essendosi casualmente imbattuto in lei nella sala d'addestramento dell'Ordine.
«Chi sei tu, che ci fai qui?» ricordò di avergli chiesto, essendo all'epoca lui soltanto un novizio al quale erano sconosciuti i volti dei membri della famiglia reale.
«Te lo dirò soltanto se mi mostrerai il ruggito di Eefret! Ti prego...» aveva risposto lei, mostrando un sorriso perfetto, stretta nel suo vestito impettito, risplendente di una bellezza incomparabile con quella delle locandiere e avventrici con le quali aveva avuto l'opportunità di intrattenersi fino a quel momento, e con una gentilezza e una compostezza capaci di disarmarlo in un istante.
«Quella del ruggito non è che una favola da raccontare ai bambini...» le aveva risposto, non staccandole gli occhi di dosso nemmeno per un istante, come se fosse stato vittima di una malia «ma se otterrò il tuo nome, e se è questo che desideri, allora ti mostrerò quello che può fare un membro dell'Ordine di Eefret...»
Così dicendo Lennox aveva disteso il braccio, aperto il palmo della mano e scagliato un piccolo globo di fuoco contro uno dei tanti bersagli preposti usati per l'allenamento, il meglio che all'epoca riusciva a fare. Riuscì a ottenere comunque un grande effetto agli occhi della principessa, e quando quest'ultima, piena di ammirazione, rivelò infine il suo nome, Lennox ricordò il terrore che l'ipotesi che un simile incontro potesse essere frainteso se qualcuno lo avesse riferito al suo severo maestro, causando la sua espulsione dall'Ordine, ma anche la gioia nell'apprendere che una simile creatura non appartenesse al volgo, bensì alla famiglia reale, una stirpe superiore discendente da Findor stesso, il primo Re, il semiDio. La piacevolezza della sua figura e dei suoi lineamenti derivavano dall'indiscussa superiorità del lignaggio e rendevano impossibile ogni possibile rapporto amoroso, ma non negarono a Lennox la gioia del ricordo di quell'incontro, delle poche parole scambiate con la principessa, e formarono una sorta di riservato pudore anche quando, pochi anni più tardi, venne eletto capitano e onorato del compito di difensore della famiglia reale, secondo soltanto all'ormai defunto generale. Non osava incrociare il suo sguardo con quello della principessa, non poteva farlo senza che la mente si affollasse di pensieri indegni di un capitano del regno di Findor. Eppure ecco che ora la cercava, fino ad incrociare i suoi occhi bruni e le sue labbra scarlatte, trovando ancora una volta la conferma alla sua più salda convinzione: se era rimasto in vita in quell'immenso campo di battaglia che il regno era ormai diventato, era soltanto per proteggerla.
Lennox tornò rapidamente alla coda della spedizione, attese fino al momento in cui egli stesso vide la cinta muraria di Goza, quindi tirò improvvisamente le briglie del cavallo, costringendolo a impennare e poi a voltarsi, con i mannari ormai vicinissimi. Distese il braccio, ripetendo quel gesto compiuto anni prima alla presenza della bella Selenya, aprì il palmo della mano in direzione ei primi 2 esemplari alla testa del branco, ignari di cosa li avrebbe colpiti, quindi creò un enorme sfera di fuoco incandescente, scagliandola contro di loro. I 2 mannari furono investiti in pieno dalla straripante potenza della sua magia, cadendo malamente sul terreno, intralciando con i loro corpi infuocati i loro stessi simili, ululando in preda al dolore lancinante delle ustioni: l'attacco era stato un successo.
Il capitano si affrettò poi a raggiungere i cancelli della città, constatando con gioia di come ormai tutti avessero già oltrepassato l'immenso portone ligneo. Non appena anche il suo cavallo -uno dei migliori che avesse mai cavalcato- ebbe varcato l'ingresso, immediatamente 4 uomini robusti richiusero il portone alle sue spalle, permettendogli di tirare un grosso sospiro di sollievo. All'interno di quel luogo sicuro poteva rimanere insensibile agli ululati dei mannari rimasti all'esterno e ai colpi tremendi di questi vibravano contro ogni parte del cancello, perfino al suono prodotto dai loro artigli sul legno. Erano protetti da cancelli di più di 5 metri, alla presenza di uomini armati e addestrati alla battaglia: li aveva riconosciuti dalle divise, si trattava dell'esercito regolare di Findor, tra i migliori, in quanto controllare quella zona impervia, proteggendo l'intero regno dalle possibili minacce sia dal Nord che dall'Est, doveva certamente essere un compito rischioso, adatto a gente esperta. Sopravvivere alla piaga dei mannari, inoltre, qualificava ancora di più quel posto come qualcosa di eccezionale, capace di riuscire dove la capitale stessa del regno aveva fallito, e doveva essere guidato da un uomo straordinario. Quell'uomo stava semplicemente attendendo di avere la sua attenzione, rimanendo nel frattempo impassibile al centro dello spiazzo principale, un grande spazio circolare a cui facevano sfondo pochi essenziali edifici e una grande recinzione colma di Capas, l'animale simile alle pecore tipico di quelle zone.
«Il mio nome è Tarles» esordì dall'alto del suo metro e novanta circa di muscoli esibiti con arroganza «e sono il comandante della città di Goza, ultimo avanposto della civiltà. E tu sei un mago dell'Ordine di Eefrit, non è vero? I miei uomini hanno visto cos'hai fatto là fuori. Rispondi.»
Il tono e l'espressione del volto di quell'uomo erano tutt'altro che amichevoli, e inoltre Lennox notò come tutti i suoi uomini fossero rimasti in attesa di disposizioni, schierati in modo tale da riuscire a sopraffare con semplicità le sue forze.
«Il mio nome è Lennox, maestro dell'ordine di Eefrit e capitano del Regno di Findor al quale tu stesso appartieni, comandante Tarles.» rispose con fermezza, deciso a far valere i gradi che identificavano di fatto Tarles come suo subordinato.
«Il Regno di Findor ora non esiste più: non ha più un sovrano, ne ha più una capitale, dato il vostro esodo» asserì Tarles severo «e inoltre io non ho altro motivo per averti accolto qui, nella mia casa, se non questo: il tuo araldo ha detto di parlare in nome della legittima erede. Parla: lei è qui? Mostramela, ora.»
Era evidente come quell'uomo non intendesse riconoscere l'autorità di Lennox e quell'inquisitoria, inoltre, non prometteva nulla di buono. Mentre ancora stava scegliendo con cura le parole per evitare che la situazione potesse surriscaldarsi ulteriormente, ecco che dal carro della principessa scese Samar, il menestrello di corte divenuto con il passare dei giorni un'insostituibile risorsa per l'intera spedizione, con il volto rosso d'ira e i pugni serrati, avvicinandosi a larghe falcate in direzione della statuaria figura ritta al centro della piazza.
«Come osi!» esordì, rivolgendosi a Tarles «Come osi domandare che la principessa ti venga mostrata come se fosse una cortigiana, tu, arrogante e borioso figlio di...»
Il vecchio giullare non riuscì a completare il suo insulto: Tarles con un solo, fulmineo movimento, aveva estratto la sua spada, troncandogli di netto la testa. In un attimo ondate di panico si diffusero tra gli abitanti della capitale ancora rintanati nei carri, immobili nella paura.
«Mostramela, ora.» ripetè ancora Tarles dopo essersi macchiato le mani del sangue del vecchio cortigiano senza battere ciglio.
La situazione era ora definitivamente sfuggita di mano. Lennox aveva assistito impotente all'assassinio di Samar, e per esperienza sapeva che le balestre degli uomini alle sue spalle erano ora puntate contro la sua schiena: doveva riuscire a giocare al meglio le sue carte, o le conseguenze sarebbero state terribili.
«Perchè desideri tanto incontrare la principessa Selenya?» domandò, cercando di trovare un po' di chiarezza nei recenti, terribili avvenimenti «Tu stesso hai detto che il Regno di Findor ormai non esiste più».
«Vero, ora non esiste più...» rispose Tarles, ripulendo la spada dal sangue «non ha più una capitale, né un legittimo sovrano, nè una guardia reale, per essere precisi. Ma potrebbe riacquistare queste condizioni, qui e ora.»
«Spiegati.» impose Lennox, divenuto ormai incapace di rivolgersi a Tarles con toni ossequiosi.
«La capitale di un regno consiste nel luogo maggiormente sicuro e popolato, nella quale ha residenza il sovrano.» rispose.
«Dunque?» lo incalzò Lennox, incapace di decifrare la spiegazione.
«Dunque oggi Goza rappresenta la città più popolosa del regno e quella meglio difesa, qui si trova la legittima erede, sangue di Findor...» spiegò Tarles, con assoluta calma «e sempre qui, dopo le mie nozze formali, risiederà il legittimo sovrano del Regno, la corte e la guardia reale formata dai miei valorosi uomini!»
La tonalità crescente con la quale pronunciò le ultime parole innescò le grida di approvazione dei suoi uomini, i quali sollevarono al cielo balestre e spade, fischiarono e batterono i piedi, trepidanti d'eccitazione.
«Per questo ti chiedo ancora di mostrarmi la legittima erede: per fare di lei la mia sposa e di me il nuovo sovrano, in virtù dei poteri a te conferiti come membro dell'Ordine.» disse Tarles, avvicinandosi a Lennox quel tanto che bastava affinche potesse sussurrargli all'orecchio un'ultima frase «La forma è bellezza, l'armonia il potere. Fa di me il sovrano.»
Lennox lo osservò perplesso, perfettamente consapevole di trovarsi di fronte a un pazzo. Voleva realmente approfittare della situazione per farsi nominare Re? E a che scopo? Già comandava in tutto e per tutto quell'avanposto, i suoi uomini lo idolatravano, a quanto poteva vedere, quindi perchè? Forse un delirio di onnipotenza, pensò, o il risentimento pregresso verso il precedente sovrano: sapeva che diversi esponenti dell'esercito erano ostili e progettavano di prendere il potere, qualora se ne fosse presentata l'opportunità, e questo concatenarsi di eventi sembrava perfetto, se Tarles era proprio uno di quei soldati.
«Avete ragione.» osservò Lennox «Qui a Goza sembrano esserci tutte le credenziali perchè possa divenire la nuova capitale del Regno, il punto fermo da cui ripartire. Avete alte mura, un pozzo per l'acqua, un allevamento di animali per carne e formaggi e degli uomini abituati a combattere, perfettamente qualificati, per difendere tutto questo e lo stesso sovrano, assumendo il ruolo della Guardia Reale.»
Grazie a quest'ultimo complimento Lennox notò come molti degli uomini di Tarles si rilassarono leggermente, e tanto bastò a convincerlo di avere scelto il modo migliore per uscire da quella situazione, quindi continuò «Dite bene, comandante Tarles, sostenendo che dovrebbe essere questa la residenza del sovrano, sovrano che costituisce ora un elemento indispensabile per riunire il popolo, fornendogli la necessaria luce che solo la figura del Re può fornire. Sotto la sua guida, e con l'aiuto del suo braccio armato e delle difese naturali su cui solo Goza può contare, Findor rinascerà, riaffermando ancora la sua antica gloria, ne sono certo.»
«Hai parlato bene, capitano. Ora mostrami la legittima erede, e apprestati a celebrare la sacra unione.» ordinò Tarles, mantenendo quel regime di austera rigidità che lo aveva caratterizzato fino a quel momento.
«No.»
«No? No?» ripetè 2 volte Tarles, stupito del diniego di Lennox.
«Non avete titolo per prendere Miss Selenya come vostra legittima sposa: le vostre mani sono sporche del sangue di un suo famiglio, un crimine imperdonabile.» sentenziò Lennox, osservando il volto di Tarles corrugarsi, la sua mano scivolare sull'impugnatura dell'elsa «In qualità di capitano della guardia Reale, e come maestro dell'ordine di Eefret, io mi rifiuto di accettare e celebrare questa unione. Vi offro però un'alternativa che spero troverete interessante.»
«Parla.»
«Io rappresento l'ultimo ostacolo tra voi e il regno. Se morirò voi sarete libero di agire come meglio credete, persino di benedire la vostra unione con il sangue proveniente dalla ferita mortale che voi stesso mi infliggerete.» lo allettò Lennox «Accettate dunque la mia sfida: una singolar tenzone, tra me e voi, per il trono. Io appartengo all'Ordine di Eefrit, è vero, ma non avete nulla da temere: presumo sappiate che dopo un colpo simile a quello da me scagliato in precedenza, per diverso tempo non riuscirò a fare un uso altrettanto efficace della magia.»
E questo era vero, almeno in parte. Nei lunghi mesi passati a difesa di quel che restava della capitale, Lennox aveva imparato ad andare oltre ai suoi limiti. I membri dell'ordine di Eefrit erano degli uomini speciali, allevati sin da piccoli per riuscire a utilizzare la magia, prima manipolando il fuoco per poi infine crearlo e utilizzarlo in battaglia, per sbaragliare le linee nemiche. Data la grande quantità di energia necessaria per risultare efficaci negli scontri, i membri dell'Ordine erano preferibilmente relegati al ruolo di protettori dei membri della famiglia reale o esponenti di un sacerdozio guerriero, fino ad assolvere alle questioni più sacre, come la nomina di un nuovo sovrano. Eppure in quei giorni terribili Lennox era riuscito ad andare molto al di là di questo, esaurendo costantemente ogni brandello di energia per combattere in prima linea contro i mannari, nella consapevolezza di essere tra i pochissimi capaci di opporsi loro e garantire l'incolumità dell'ultimo membro della famiglia reale, tanto più in quanto si trattava di quella stessa donna che era stata capace di turbarlo, da novizio, e che ancora ammirava per bellezza e virtù.
«Accetto la sfida. Chi ne uscirà vincitore sarà il nuovo sovrano di Findor» dichiarò Tarles, brandendo lo spadone che portava sulla schiena.
L'orgoglio e l'arroganza del comandante erano state le uniche basi sulle quali Lennox aveva impostato il suo agire, l'unica modalità in cui poteva riuscire a non morire per le freccie degli uomini piazzati alle sue spalle. Quell'asserzione finale di Tarles rischiava però di destabilizzarlo: lui il nuovo Re di Findor? Proprio lui sposo di colei che aveva sempre considerato irraggiungibile eppure in un certo senso aveva sempre amato?
Non ebbe tempo di riflettere troppo circa quelle possibilità fino a quel momento mai prese in considerazione: Tarles lo attaccò frontalmente con la furia di un uomo perfettamente abituato a combattere, muovendo il pesante spadone con un'agilità e una precisione impressionanti, consentendo a Lennox di riuscire a parare appena, e con enorme difficoltà, l'incessante susseguirsi dei suoi colpi. Arretrò ancora e ancora, respingendo con difficoltà la furia dei colpi, giungendo quasi a contatto con gli enormi portoni lignei, dietro ai quali poteva udire il fremente accalcarsi delle creature eccitate, e solo in quel momento realizzò quale potesse essere l'unico modo per riuscire a uscire vincitore non solo da quello scontro, ma anche dalla successiva rivalsa che la morte di Tarles avrebbe certamente condotto nei suoi uomini.
Doveva distruggere il portone, non gli importavano le conseguenze, era l'unica cosa da fare per liberarsi allo stesso tempo sia di Tarles che dei suoi uomini, a costo di rischiare ogni vita tra i presenti. Con un improvviso scatto si portò di diversi metri alle spalle di Tarles, con di fronte a sé il portone, quindi tese il braccio e infuse nel palmo della sua mano quanta più energia possibile: ne scaturì un globo di fuoco di rara potenza, che abbatte il portone lasciando attoniti i presenti.
«Tutti nei carri, ora!» gridò Lennox, nella speranza di salvare quante più vite possibili dalla calcoata follia del suo gesto.
Un istante più tardi dalla voragine causata dal globo di fuoco sbucarono zanne e artigli, e il primo mannaro si avventò su Tarles, il quale reagì vibrando un tremendo colpo del suo spadone, ponendo fine alla vita della bestia come se si trattasse di un cane randagio anzichè di un mannaro famelico. Lennox non ebbe modo di osservare con altrettanta attenzione le successive azioni del portentoso nemico: un altro mannaro lo aveva scelto come sua preda, e in quel momento si trovava quasi del tutto privo di energie, incapace di muoversi e colpire alla stessa velocità alla quale era abituato.
In breve tempo Lennox si ritrovò con la schiena a terra e il corpo schiacciato da una bestia di oltre un quintale, le cui fauci pestilenziali erano pericolosamente vicine al suo collo, trattenute soltanto dalla sua strenua resistenza: aveva bisogno almeno di un altro minuto prima di riuscire a tornare a combattere come sapeva. Provò a ruotare su un fianco per liberarsi, ma la forza della bestia era inaudita: non poteva reagire.
Fu allora che Sloan, rimasto fino a quel momento inebetito a fianco del suo cavallo pezzato, decise di intervenire. Lui conosceva perfettamente le prodigiose abilità magiche di Lennox, e allo stesso tempo era consapevole del suo temporaneo stato di debolezza dopo essere incorso in uno sforzo simile, così quando si avvide della lotta tra un mannaro e il suo capitano, capì immediatamente di dover passare all'azione. Si gettò nella piazza scansando uomini e bestie, sguainando la sua spada tra l'assurda confusione creatasi e le frecce scagliate dagli uomini di Tasler nel disperato tentativo di arginare l'invasione, facendosi stada fino a ritrovarsi quasi di fronte a Lennox, ancora alle prese con il mannaro che ora apriva e richiudeva sistematicamente le fauci, famelico. Nonostante un recente passato terribile, e il ricordo ancora vivo dei tanti compagni divorati da quelle fauci terribili, Sloan non provava più terrore o paura, ma solo rabbia: alzò la spada sopra di sè e si preparò a uccidere la creatura, quando sentì una fitta di dolore allo stomaco, e improvvisamente una lama uscire dal giubbetto di cuoio che portava, causandogli dapprima smarrimento, poi la consapevolezza di essere stato colpito a morte da Tarles. Si era accorto subito che qualcosa non andava in quell'uomo, dal modo freddo in cui l'aveva accolto, dall'iniziale decisione di lasciare tutti fuori da Goza, a morire, presa senza battere ciglio e ritrattata solo dopo aver sentito della presenza della principessa Selenya, e ora quello stesso uomo l'aveva colpito alle spalle, come un vigliacco.
«Capitano...» riuscì a sussurrare, mentre il dolore provocato dall'estrazione della lama dal suo corpo lo costringeva a cadere sulle ginocchia, prima di accasciarsi a terra, esanime.
Lennox aveva visto ogni cosa. Era stato pervaso dalla gioia di vedere Sloan, dalla soddisfazione nel constatare la sua lealtà nei suoi confronti, e poi lo aveva visto cadere, e dietro di lui riapparire quel Tarles per cui aveva provato un sincero odio sin dal primo istante, e che in pochi minuti aveva spezzato già 2 vite di persone a lui care. Questa rabbia, unita all'effettivo passare dei minuti e alla conseguente ripresa delle sue forze, gli permise di trovare la necessaria forza per spingere lontano dal suo petto la bestia quel tanto che bastava per estrarre il piccolo pugnale dal fodero cucito all'interno della camicia e piantarlo nella gola del mannaro, poi si alzò di scatto, recuperò la spada caduta e finì la bestia, con un colpo preciso che non le diede scampo.
Tarles era rimasto impassibile. Non aveva approfittato della confusione per vibrare un colpo a tradimento: dopo aver ucciso Sloan aveva osservato Lennox liberarsi del mannaro e ucciderlo, e ora era semplicemente in attesa che si riprendesse lo scontro tra loro. Sembrava meno umano dei mannari stessi, incapace di provare rimorso per le sue azioni, insensibile all'invasione in corso: in quell'istante l'unica cosa che contasse davvero, per lui, era sconfiggere Lennox in combattimento, nient'altro. Si scagliò dunque ancora su quello che al momento considerava come il suo unico nemico, mostrando una forza che, come in precedenza, surclassava ampiamente l'avversario, costringendolo sulla difensiva.
Lennox non riusciva a capire come fosse possibile che un uomo tanto forte non avesse scalato i vertici della milizia fino a diventare anch'egli capitano, o addirittura un generale: mai aveva combattuto un avversario tanto forte. Si rammaricò subito, però, di aver pensato che un tipo come Tarles avesse mai potuto ambire a una carica prestigiosa nel Regno di Findor: la straordinaria forza non aveva significanza se accompagnata dalla lucida follia che aveva visto brillare nei suoi occhi, né il sangue versato dal vecchio Samar e dal fedele Sloan permettevano un simile pensiero.
Per vendetta, per dovere, per giustizia, doveva uccidere Tarles.
Con un incredibile sforzo si costrinse a ricorrere alla magia ancora una volta: non per formare un terzo globo di fuoco -operazione che andava ben al di là delle sue capacità- ma per infondere calore alla lama sua spada, fino a renderla quasi incandescente, come se fosse un'esternazione fisica della rabbia e del risentimento che provava. Iniziò quindi ad essere più veloce, più preciso, più determinato, mentre Tarles continuava a colpire, ma perdendo in efficacia, trovando una difesa sempre più solida e un'arma quasi viva, fumante, minacciosa. Lentamente, ma inesorabilmente, la mossa di Lennox cambiò le sorti dello scontro: Tarles iniziò ad arretrare, a badare molto più a rispondere agli attacchi anzichè condurli, a temere la spada del suo avversario desirando che un mannaro lo divorasse, ponendo così finalmente fine allo scontro. Volse lo sguardo intorno a seè, cercò disperatamente una delle stesse bestie i cui denti adornavano il suo collo e la sua cintura come alleata, nel disperato tentativo di uccidere il mago, disperandosi per non averlo ucciso alle spalle come un cane quando ne aveva avuto la possibilità, ma era tardi ormai. Approfittando della sua distrazione Lennox vibrò un colpo che squarciò il petto del comandante di Goza, facendolo inesorabilmente cadere nella polvere.
«Hai vinto, mago.» Annunciò con naturalezza, quasi come se quelle non fossero le sue ultime parole, poi, dopo un breve silenzio preludio di morte, aggiunse: «Ora diventa Re.»
Lennox rimase scosso da quell'ultimo ordine dato dal comandante della città: in effetti il duello era stato una sfida per il potere che Tarles desiderava, e il suo nome era Selenya.
Selenya.
Cercò immediatamente di individuare con lo sguardo il carro della principessa, non riuscendo a individuarlo: tutti i carri erano in movimento, per via del terrore che aveva preso possesso dei cavalli, nonostante la battaglia fosse ormai vicina al suo epilogo. Nonostante le numerose vittime distese a terra, infatti, il numero dei mannari era diminuito drasticamente, segno che gli uomini di Tarles erano anch'essi combattenti eccezionali: della dozzina e più di mannari penetrati a Goza per via della sua azione disperata soltanto 2 sembavano essere ancora vivi, e stavano combattendo con gli ultimi soldati della città.
Per un momento Lennox pensò che in fondo non sarebbe stato affatto male se gli ultimi mannari e gli ultimi uomini di Tarles si fossero uccisi a vicenda, ma poi, memore delle ultime parole del comandante di Goza e del prestigio morale che come ultimo membro dell'Ordine di Eefrit doveva ricercare, abbandonò ogni indugio e si lanciò in loro aiuto. Insieme riuscirono rapidamente ad avere la meglio sui mannari rimasti, e anzi quegli uomini furono poi i primi a ringraziarlo e a precipitarsi a riparare le porte divelte dalla sua magia e prestare soccorso ai feriti, senza distinzioni, mentre ancora arrancavano per le fatiche patite nella battaglia.
Mentre Lennox si interrogava su come potessero quegli uomini ringraziarlo e aiutarlo nonostante fosse stato lui stesso la causa della perdita di tanti compagni, la voce di Tarles gli risuonò ancora nella mente: diventa Re.
Con poche, ampie falcate, percorse nuovamente la piazza, fino a raggiungerne il centro. Qui attese qualche istante, incerto su cosa dire, poi vide Selenya fare capolino da un carro, salva, anche se scossa, sorretta dalla fedele Yohanne, e tutto divenne chiaro.
«Uomini di Goza, cittadini di Findor...» disse con voce solenne, richiamando a sé l'attenzione «oggi tutti noi abbiamo perso qualcuno a noi caro, tutti noi abbiamo visto l'orrore e la morte, abbiamo sofferto e ancora stiamo soffrendo, e tutto questo a causa mia.»
Un brusio di disapprovazione si levò dalla zona dei carri: per molti di loro Lennox era piuttosto l'eroe che aveva saputo salvarli da mille pericoli.
«Ho preso oggi una decisione costata molte vite, una decisione sofferta che ho ritenuto giusta, ma non mi aspetto da voi il perdono: nessun uomo, sia egli un comandante o un capitano, potrebbe chiedervi il perdono per questo.» Dichiarò
«Solo un Re potrebbe farlo.»
Tutti i presenti volsero lo sguardo verso l'autrice di quest'ultima affermazione: la principessa Selenya. Liberatasi dal braccio di Yohanne, la nipote del defunto sovrano avanzò in direzione di Lennox, distendendo il braccio allo stesso modo in cui il capitano era solito scagliare il suo globo di fuoco, disorientandolo. Sorrise poi, divertita, porgendo a Lennox il dorso della mano, che prontamente baciò.
«Solo un Re» ripeterono all'unisono.
Nessun commento:
Posta un commento